Il calcio italiano in crisi? I dati che non conoscete
La rasoiata di Trajkoski a tempo scaduto di Italia – Macedonia del Nord si è abbattuta come la ghigliottina sul collo del condannato a sancire che ormai il nostro calcio sembra non avere nè capo nè coda vista anche l’ennesima fresca eliminazione dalla Champions League.
Tutti si sono affrettati a dire che non abbiamo più talenti italiani, ma anche quando le squadre si infarciscono di stranieri come Inter o Juventus, per citarne due non a caso, il risultato a livello internazionale non cambia.
Se mettiamo da parte l’emotività e i giudizi ingenui da bar e se prendiamo in considerazione con freddezza e cinismo i dati oggettivi possiamo articolare qualche riflessione che mi permetto di fare dopo tanti anni nel calcio professionistico.
Dal 2010, a parte la parentesi della finale europea del 2012 a guida Prandelli, fino a luglio scorso la nazionale maggiore aveva collezionato solo figuracce però le selezioni giovanili (tutte e non solo l’under 21) proprio dal 2010 hanno fatto registrare una serie importante di risultati internazionali grazie al lavoro di Arrigo Sacchi e Maurizio Viscidi, che è ancora l’attuale responsabile.
Questo lavoro non è stato solo di selezione ma anche di formazione per tutto il calcio giovanile italiano. Come mai prima il settore tecnico di Coverciano negli ultimi anni ha sfornato, anche grazie alle nuove tecnologie, contributi didattici e formativi.
L’intelligenza di Mancini è stata accorgersi di questo bacino di formatori e di calciatori e col suo nuovo e prezioso staff ha iniziato un lavoro che ha poetato alla convocazione di numerosi giovani molti dei quali non giocavano nei loro club (primo fra tutti Zaniolo), a un record di risultati positivi e alla vittoria all’Europeo.
La vittoria di Wembley è arrivata dopo una fase finale nella quale l’Italia ha messo in campo un calcio propositivo con una mentalità nuova e non è stata una vittoria estemporanea come quelle della Danimarca nel 1992 o della Grecia nel 2004 edizioni in cui partecipavano alla fase finale molte meno squadre.
Sicuramente dopo la vittoria di luglio e con gli avversari ormai consapevoli del nuovo gioco italiano forse Mancini ha pensato di vivere troppo di “rendita”, frenando sulla nuova via tattica intrapresa che richiede intensità, velocità e scelte tattiche funzionali sulle quali qui non possiamo dilungarci perchè sarebbero comprensibili solo agli addetti ai lavori e non sono l’oggetto del presente articolo.
La partita con la Macedonia o i rigori di Jorginho sono il finale karmico di un terreno arido sul quale Mancini e il suo staff devono fare mea culpa da settembre in poi, ma ai molti che hanno accusato il CT di aver tradito la mentalità italica del sistema di gioco e di aver introdotto scelte strategiche che non appartengono alla nostra tradizione bisogna rispondere che bene ha fatto il tecnico di Jesi ad avvicinare il calcio italiano alla mentalità internazionale per allontanarlo dalla palude di quella tradizione ormai superata dai fatti.
A livello europeo le squadre giocano a intensità maggiore, cercano di dominare il gioco, partono dall’idea di creare superiorità numeriche in fase offensiva prima che difensiva e hanno coraggio di far debuttare i giovani.
Il Liverpool è venuto a giocare gli ottavi di Champions a Milano con un 2003 titolare e lo stesso fa la nazionale spagnola facendo giocare titolare un 2004.
Sento già il coro di chi dice: “Ma quei giocatori sono bravi e noi non ne abbiamo di così bravi”.
No! Noi ne abbiamo di bravi ma non li facciamo giocare perchè sono giovani, per molti allenatori italiani il giovane anche se è bravo, non è affidabile, non va “bruciato” ma salvaguardato facendolo ammuffire in panchina come si fa con certe uve per fare il vino passito.
Allegri a inizio anno ha definito “giovane” Chiesa che è un ’97!!
La stessa Juventus paga uno stipendio importante a un centrocampista come Arthur che non è mai stato decisivo mentre aveva Fagioli che non ha niente in meno del brasiliano, ma è stato ceduto in prestito alla Cremonese.
Riecco lo stesso coro di prima: “Ma appunto Fagioli ha bisogno di farsi le ossa e così gioca ogni domenica”. Vero solo in parte la prova la avremo l’anno prossimo nel vedere dove sarà Fagioli.
Per molte società il settore giovanile è una spesa inutile ma ci sono anche tante società che “producono” molti giovani bravi. Il problema si manifesta in uscita. Lo ha detto anche il mister Nicolato dell”under 21, sottolineando come fra poco i giocatori italiani che giocano, dovremo cercarli in lega Pro perchè a volte nemmeno in B è loro concesso spazio.
I colpevoli non sono solo gli allenatori ma tutto il sistema mediatico, dai tifosi ai giornalisti più affascinati dai nomi di calciomercato che dal ragazzino della primavera.
E’ una mentalità tutta italiana che arriva fino ai dilettanti dove i presidenti di paese preferiscono pagare lauti rimborsi ai giocatori di esperienza anche se mercenari che non al giovane promettente di casa il quale, magari, gioca gratis ma il cui errore è valutato in maniera diversa rispetto a quello del “vecchio”.
Però anche fra le società che lavorano bene con i giovani c’è una colpa grande: la presenza eccessiva di stranieri inutili. Recentemente ho visto una partita di bassa classifica del campionato Primavera: sui 22 titolari di partenza 17 erano stranieri.
Il dato statistico ci dice che di quei 22 giocatori forse 2 o 3 saranno professionisti. Mi chiedo allora perchè i direttori sportivi investono così tanto su stranieri che sanno già che non diventeranno calciatori.
La risposta è anche maliziosa, ma oggettiva: nelle operazioni che portano stranieri giovani in primavera possono girare molti soldi liberamente, inoltre ci sono spesso interessenze con amici procuratori e società di scouting estere dove accreditare con facilità soldi legalmente fatturati.
Quindi oltre ad aver poco spazio in prima squadra il giovane italiano si trova in casa la concorrenza di giocatori mediocri.
Per esempio, l’Atalanta è stata bravissima a trovare in periferia e a far giocare Cissè del 2003 ma è anche vero che proprio l’Atalanta, che ha anche un settore giovanile importante, però è terzultima per minutaggio dei giocatori italiani i serie A, la prima nel dare spazio ai giocatori italiani è l’Empoli che non a caso è anche campione italiano in carica con la squadra Primavera.
L’Udinese, che è un modello di efficienza e trasparenza dei bilanci, è ultima, in pratica non dà spazio agli italiani anche perchè quasi non ne ha.
I campioni stranieri non si discutono, ma i giocatori mediocri stranieri a cosa servono?
Inoltre perchè il sindacato dei calciatori non ha fatto una battaglia contro l’applicazione al calcio professionistico dei vari “decreti governativi crescita e rilancio” che creano una disparità fra le tasse (più basse) per il contratto di uno straniero che arriva in Italia rispetto al contratto di un italiano ? Ovviamente la dinamica giuridica andrebbe dettagliata, questo non è l’articolo per farlo ma la sintesi è quella appena esposta.
Allora si dirà: lavoriamo meglio con i ragazzini più giovani dove ancora non arrivano gli stranieri. Sì, è utile farlo, ma qui si manifestano criticità di programmi, di metodi e di vecchie idee. Gli allenatori bravi del settore giovanile sono sempre precari e mal pagati e vengono sorpassati da ex-giocatori a cui, subito dopo aver smesso di giocare, vengono affidate squadre importanti del settore fra i 15 e i 17 anni. Molti di loro sono bravi, ma tantissimi non hanno stimoli, interesse e pazienza per lavorare con i giovani, non sanno comunicare con loro e cercano solo un trampolino per la propria carriera . E’ in questa fascia di età nella quale si “bruciano” tanti giovani.
E la federazione? C’è una notevole differenza fra Settore Tecnico di Coverciano che non ritengo in crisi e FIGC a Roma, dove nella palude politica si contendono le poltrone senza nessuna competenza specifica sui giovani.
Un ultimo protagonista accusato di essere uno dei colpevoli della crisi della Nazionale è la Lega di serie A. Si dice che vedrebbe la Nazionale come un fastidio.
In parte è vero, ma è vero anche che un Presidente che investe sull’acquisto di un giocatore e ne paga lo stipendio per fare un bel campionato può essere legittimamente infastidito se il giocatore si infortuna in Nazionale, soprattutto se quel Presidente non è un italiano ma è una società di investimenti straniera.
Vi invito a una riflessione: abbiamo sempre più società di calcio in mano a proprietà americane che si alleeranno con altre proprietà italiane (facile capire chi) interessate a introdurre modelli di business e spettacolo sportivo tipici degli USA: questa è la Lega.
Vedrete che andremo verso una chiusura sempre più netta della serie A anche in termini di retrocessioni per creare una Lega fonte di guadagno per tutti coloro che vi partecipano e “degli altri chi se ne frega”. E’ esattamente quello che succede nella società ultra competitiva degli Stati Uniti che proietta nello sport la propria idea della vita.
Il calcio italiano è in crisi prima di tutto perchè è ancorato a una mentalità vecchia che attanaglia molti dirigenti, allenatori ma anche giornalisti e tifosi, questa mentalità, come dice Sacchi, è poco legata al merito e molto alla furbizia, poco propensa al programma e molto schiacciata dall’emotività e dall’umoralità, poco capace di essere consapevoli dei propri limiti perchè si maschera dietro l’idea della tradizione. E’ in crisi perchè come alternativa a Mancini si sono sentiti nomi che avrebbero tirato ancora più indietro la lancetta dell’orologio o peggio professionisti che avrebbero bisogno del “badante”. Ma se prendo un allenatore devo dargli un tutor? E allora perchè lo prendo?
La tradizione è coltivare il fuoco e rinnovarlo e non adorare le ceneri, sempre che gli americani ci lascino governare il fuoco senza trasformarlo in un barbecue per gli hot dog perchè la forma dei wurstel è poco rassicurante se non vengono infilati in bocca per mangiarli.