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Bulli Stop e quel torneo che dà un calcio alla violenza. Giovanna Pini: “Tutto parte dalla scuola”

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Una mattina fredda d’autunno, un campo da calcio, tanti ragazzi sorridenti, un unico slogan: “diamo un calcio al bullismo!”. Lo scorso 17 novembre, gli studenti dell’Istituto Paritario Visconti di Roma hanno partecipato al primo Torneo Nazionale di calcetto organizzato dal Centro Nazionale contro il bullismo. Regolamento? Una maglia bianca e una nera, tanta voglia di correre e niente rosicamenti, tutto per raggiungere un unico obiettivo: dire no a una piaga sociale ormai diffusissima e raccogliere fondi.

Parliamo di un fenomeno che trova il suo palcoscenico preferito proprio nelle scuole. Fra le mura silenziose che ogni giorno accolgono migliaia di ragazzi. È proprio fra questi corridoi, questi cortili che si consumano scene di violenza sottili, silenziose, spesso lontane dagli occhi degli educatori. Quasi sempre sconosciute a quelli dei genitori. Ed è così che succede: uno sguardo minaccioso, gli insulti le botte, la violenza. A volte il bullismo è un video, girato dal branco che assiste, divertito. Lo stesso che poi caricherà quella sequenza sul web per farla vedere a tutti. Così è morta nel 2013 Carolina Picchio, suicida a 14 anni e poi Andrea Spezzacatena, che di anni ne aveva appena 15, impiccatosi perché preso in giro dai compagni. “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, lo chiamavano. Lui e Carolina sono solo alcuni dei tanti giovani che negli ultimi anni sono diventati – loro malgrado – vittime di bullismo.

Per molti è un argomento tabù, da tenere lontano, da dimenticare. Ma non per tutti. Giovanna Pini, pedagogista, docente e Presidente del Centro Nazionale Contro il Bullismo non ama il silenzio ma la parola, che considera mezzo e veicolo d’insegnamento.

Per molti “bullismo” è solo una parola di cui spesso non si conosce il significato. Lei invece lo conosce bene. Come lo racconterebbe oggi, anche alla luce del suo ruolo educativo?

Oggi c’è un disagio giovanile molto forte, i ragazzi passano meno tempo in famiglia. Con la crisi sociale odierna i genitori lavorano quasi sempre entrambi e i giovani sono lasciati liberi, non si confrontano né confidano più con loro. Ecco perché credo in una scuola che non li consideri dei numeri ma persone, insegnando loro i valori e il rispetto per gli altri.

Ricordando proprio il caso di Andrea Spezzacatena, perché in alcuni casi gli istituti scolastici non riescono a essere parte integrante della vita di questi ragazzi?

Il caso di Andrea è un caso di bullismo, la madre da anni si batte proprio per farlo riconoscere come tale. Io non credo che un ragazzo si impicchi senza un valido motivo. Spesso la scuola preferisce negare determinate cose: se si verifica un atto di bullismo, si è portati a pensare che la scuola perda la nomea di buon istituto. Bisognerebbe invece essere coscienti e consapevoli della possibilità che certi atti si verifichino e dirlo, senza paura. Non è che poi si viene ghettizzati. Si tratta anche di prevenzione al bullismo, che andrebbe fatta in tutti gli istituti proprio per evitare casi come questi. Noi assieme al Teatro Olimpico abbiamo organizzato uno spettacolo in concomitanza con la terza giornata Nazionale “giovani uniti contro il bullismo”. Si terrà la prossima primavera e abbiamo intenzione di farlo vedere a tutte le scuole di Roma. Come Istituto ci siamo, come pedagogista ci sono. Ne parlavo già quindici anni fa, oggi molti oltre me lo fanno. Mi piacerebbe però vedere un po’ più di professionalità fra coloro che decidono di trattare questo fenomeno sociale.

Ecco, secondo lei come si è evoluto il bullismo negli ultimi quindici anni?

Prima anche noi andavamo a scuola, c’era la scazzottata fra amici, le prese in giro ma finiva lì. Oggi c’è molta cattiveria: il bullo vuole la prevalsa sul ragazzo, la situazione è cambiata e spesso la scuola non si adegua a tutto ciò, non considerando che lo studente ha delle frustrazioni interiori che non riesce a tirar fuori. Quello che noi facciamo è partire da ciò che di bello ogni ragazzo ha dentro, quello che sa fare, portandolo alla comunità.

Bulli Stop nasce come associazione ma oggi è diventato un Centro nazionale. Quali sono le sue finalità?

Lo scopo primario è quello di aiutare chi si rivolge a noi ed è vittima di bullismo, con avvocati, esperti, psichiatri che offrono il loro aiuto e mettono a disposizione la loro professionalità come il Professor Matteo Villanova, grandissimo luminare e psichiatra. La nostra intenzione è quella di coinvolgere i giovani con le loro idee, far sì che siano un contributo valido per prevenire il bullismo. Vogliamo ascoltare tutti ed essere sempre “sul campo”.

Ecco, a proposito di campo… oggi si è tenuto il primo Torneo di calcetto contro il bullismo. Quale contributo offre lo sport per poter contrastare questo fenomeno?

Lo sport e il teatro sono dei giochi bellissimi ed hanno un grandissimo ruolo, sono una valvola di sfogo dell’aggressività e soprattutto un mezzo per capire che è importante rispettare le regole e giocare pulito: a calcetto, sul palco di un teatro, nella vita. Oggi qui si “affrontano” ragazzi del primo insieme a ragazzi del quarto (anno, ndr). Sono i giovani che devono parlare di bullismo agli altri, con i nostri ci stiamo riuscendo. Certo, non abbiamo la bacchetta magica…ma anche attraverso il gioco che è aggregatore per eccellenza, stiamo raggiungendo i risultati sperati. Non c’è rabbia in questi giovani, perché sanno di stare partecipando a qualcosa di importante: dare un calcio al bullismo.

In mezzo a questo campo, fra tutte queste grida di gioia, fra un gol e l’altro, una caduta e l’altra, non c’è solo la professoressa Pini. Ci sono i ragazzi, i veri protagonisti di questa giornata all’insegna dello sport e del sociale. Come Daniele, l’organizzatore che ci tiene a sottolineare: «lo scopo primario di questa gara è quello di raccogliere i fondi per il centro. Il calcio è uno degli sport più aggreganti infatti oggi siamo qui tutti insieme, perché siamo noi per primi a dover dare il buon esempio!». Fra tutti i ragazzi che corrono, si danno pacche sula schiena, sudati, stravolti ma felici, è uno dei capitani di squadra che  – per tutti – spiega come mai è qui: «aver partecipato a questo torneo significa poter dare una mano a tutti quelli che hanno subito e subiscono oggi il bullismo. È bello poter fare la propria, anche se siamo ragazzi!».

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