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Bufera doping sul City di Guardiola: la decisione della Football Association

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Possibili (comunque minimi) guai in vista per il Manchester City di Pep Guardiola. Il motivo? La società mancuniana è stata incriminata dalla federcalcio inglese per non aver fornito ai funzionari anti-doping informazioni precise su dove si trovassero i propri giocatori per ben tre volte nel corso di un periodo pari a 12 mesi.

Cosa comporterà tale azione? Di sicuro non una squalifica per i giocatori inclusi nella rosa dei Citizens da parte della ADAW (Anti Doping Agency World). Negli sport individuali, infatti, gli atleti stessi sono i responsabili degli aggiornamenti riguardanti i propri dati fisici e, loro sì, possono essere sanzionati con una squalifica fino a due anni qualora non si presentino a tre test anti-doping nel giro di un anno. Negli sport di squadra, invece, è il club in cui milita l’atleta a dover mantenere i funzionari anti-doping sempre aggiornati. La ADAW, tuttavia, non ha nel proprio regolamento alcuna disposizione per le violazioni ascrivibili a squadre piuttosto che al singolo sportivo; questo, dunque, il motivo per cui il City è stato messo sotto inchiesta soltanto in base alle norme della FA, che detiene un codice diverso rispetto alla ADAW.

Andiamo, quindi, nel particolare ad analizzare cosa abbia sbagliato la società con a capo lo sceicco Mansour. A tutti i club appartenenti alla FA è richiesto di informare la federazione entro le dieci di mattina del lunedì riguardo a: i giorni in cui ogni singolo giocatore si allena nel corso della settimana, l’orario di inizio e fine dell’allenamento e il domicilio dei calciatori stessi (oppure l’indirizzo di un luogo dove questi possano trascorrere la giornata e la nottata). Questo aspetto è considerato fondamentale da parte dei funzionari dell’anti-doping del Regno Unito poiché permette loro di sapere quando e dove possano effettuare dei test senza preavviso agli atleti. Il City in tre diverse occasioni ha mancato proprio in questo campo: non ha fornito informazioni precise e dettagliate all’organismo anti-doping che controlla il Regno Unito.

Che cosa succede, allora, quando un club indica un luogo sbagliato riguardante i propri giocatori e gli ufficiali dell’anti-doping si recano ad effettuare il test? Dipende. Se ci sono fino a quattro atleti coinvolti, il club non viene penalizzato. Se accade, invece, con un numero che va da cinque giocatori in su, si mette in moto la macchina amministrativa della FA. Ogni giocatore che non viene trovato dai funzionari potenzialmente può incappare in una pena per non aver dato luoghi ed orari alternativi. Secondo le regole vigenti presso la FA, le tre volte in cui è incorso il City in 12 mesi potrebbero anche condurre ad una squalifica di alcuni calciatori.

Giungiamo ora ai prossimi passi che il club allenato da Guardiola potrà effettuare; innanzitutto, i biancazzurri hanno fino al 19 gennaio per rispondere formalmente alla Football Association, pur non essendo comunque tenuti a contestare il fatto. E’ probabile che verranno addotti errori a livello amministrativo riguardo a tale faccenda da parte della società inglese. Il caso sarà ascoltato da una commissione disciplinare di tre membri, che in Inghilterra si prevede possa multare i Citizens per una cifra pari a 25.000 sterline. Le probabilità di una penalizzazione in termine di punti o di sospensione di giocatori appare, al contrario, assai remota. Nonostante la Commissione Disciplinare abbia una certa libertà di azione, infatti, le linee guida tracciate dalla FA suggeriscono per casi come questo una multa della suddetta cifra.

In tutto ciò, cosa emerge dalle stanze della FA? La federcalcio inglese sottolinea intanto che i suoi funzionari antidoping sono soliti scegliere i giocatori con più probabilità di scendere in campo per effettuare i test, dal momento che testare, ad esempio, il terzo portiere di una squadra viene ovviamente ritenuto molto meno sensato rispetto al farlo con il centravanti titolare. C’è poi da dire che la Premier League rappresenta l’unico caso, a livello di calcio professionistico, in cui i giocatori devono dare avviso della propria ubicazione e possono essere visitati dai funzionari anche a casa.

In buona sostanza, la FA ritiene di essere leader nel mondo del calcio in riferimento alla battaglia contro il doping.

Nonostante ciò, possono essere sollevate alcune falle evidenti nel sistema studiato e portato avanti dalla FA. Ad esempio, la federazione non richiede ai club di fornire informazioni su dove risiedano i giocatori nel periodo di sosta tra una stagione e l’altra, mentre i giocatori hanno solo l’obbligo di fornire un indirizzo in cui risiedono regolarmente durante la notte. Ciò significa che da fine maggio a luglio, i calciatori potrebbero essere in vacanza ed assumere sostanze vietate con possibilità praticamente pari allo zero di essere scoperti.

In conclusione, cosa ne pensano alcuni esperti del settore del caso Manchester City? Il Guardian riporta le parole di Richard Ings, ex capo dell’agenzia anti-doping australiana, che afferma: “c’è un’incoerenza spaventosa quando si tratta di sport di squadra nel codice Wada. Se sei un atleta individuale, il codice Wada è ferreo circa gli obblighi da adempiere e le informazioni. Se non lo fai, sai che sarai punito. Perché gli stessi obblighi non si applicano agli atleti professionisti in alcuni sport di squadra? Non è tanto un problema di FA, ma un problema che sta a monte. La Wada deve fare qualcosa per eliminare questa disparità insensata“.

 

Nato a Roma sul finire degli anni Ottanta, dopo aver conseguito il diploma classico tra gloria (poca) e
insuccessi (molti di più), mi sono iscritto e laureato in Lingue e Letterature Europee e Americane presso la
facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Tor Vergata. Appassionato, sin dall'età più tenera, di calcio,
adoro raccontare le storie di “pallone”: il processo che sta portando il ‘tifoso’ sempre più a diventare,
invece, ‘cliente’ proprio non fa per me. Nel 2016, ho coronato il sogno di scrivere un libro tutto mio ed è
uscito "Meteore Romaniste”, mentre nel 2019 sono diventato giornalista pubblicista presso l'Ordine del Lazio

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