Bosisio e Mascena: due pugili, due destini opposti
Il 15 maggio 1905 nasceva Pietro Mascena, il pugile la cui storia si intreccia incredibilmente con quella di un altro boxeur, Mario Bosisio, con due destini completamente opposti. Ve la raccontiamo.
Il 29 giugno del 1920 a Milano, in Via Moscati, nel cortile della palestra della società Pro Milano iniziò la prima edizione dei Campionati Italiani di Pugilato riservati ai dilettanti. Una sessantina gli atleti iscritti nelle otto categorie previste all’epoca, molto pochi per via della disposizione della federazione che aveva stabilito che le spese di viaggio e di soggiorno a Milano, quantificate in quattrocento lire, fossero a totale carico del pugile partecipante. La decisione provocò un vero e proprio boicottaggio e alla manifestazione parteciparono solo pugili del nord Italia, eccezion fatta per un manipolo di romani, otto, che giunsero comunque a Milano per far valere le loro qualità, elevate visto che conquistarono tre medaglie d’oro e una d’argento.
Quei campionati erano di particolare importanza perché avrebbero giocato un ruolo decisivo nella scelta della rappresentativa italiana che avrebbe partecipato ai Giochi Olimpici di Anversa a settembre, e tra i giovani pugili che quel giorno aspettavano il loro turno di salire sul ring ce n’erano due di cui vogliamo raccontarvi la storia. Il primo è Mario Bosisio, milanese, classe 1901, piuttosto quotato e già sotto osservazione da parte dei tecnici della nazionale, l’altro è Pietro Mascena, cognome cambiato dall’originale Maxena, genovese, giovanissimo, essendo nato il 15 maggio del 1905. Sono entrambi pesi leggeri e la sorte li ha messi uno contro l’altro al primo turno. I dettagli di quel match non sono arrivati fino a noi, sappiamo che a sorpresa Mascena vinse ai punti in quattro riprese, ma che con una decisione decisamente fuori da ogni regola, gli organizzatori decisero che anche Bosisio avrebbe potuto proseguire a gareggiare perché potenziale olimpionico. Nessuno dei due però arrivò ad Anversa, furono entrambi sconfitti da Leo Giunchi, Bosisio in finale e Mascena, che pur Bosisio l’aveva battuto, nel turno precedente.
Entrambi dunque decisero di passare professionisti e cercare di fare della boxe un lavoro. Bosisio combatté qualche match tra Milano e Trieste, vincendoli quasi tutti, poi il 21 di novembre di quello stesso 1920 finì col boxare a Genova proprio contro Mascena che esordiva tra i professionisti proprio in quell’occasione. Vinse Bosisio per squalifica dell’avversario alla terza ripresa. Ci fu una rivincita sempre a Genova il primo febbraio e stavolta Mascena si impose per KO tecnico dopo otto rounds. Dopo quella data le strade dei due si separarono e non si incrociarono mai più. Entrambi comunque ebbero un certo successo e continuarono le loro carriere pugilistiche.
Bosisio fu il primo a diventare Campione Italiano, sempre dei Leggeri, l’undici di febbraio del 1922 mettendo KO in cinque riprese Dario Della Valle, uno dei romani che erano saliti a Milano in quei campionati nazionali del 1920 e che si era laureato campione nella categoria superiore, allora i medioleggeri, ora pesi welter. L’avanzare dell’età fece sì che Bosisio, irrobustitosi, non potesse più difendere quel titolo, era ormai diventato un welter, e la federazione lo assegnò a tavolino proprio a Pietro Mascena nell’aprile del 1923, quando ancora non aveva compiuto 18 anni. Si era ben distinto il ligure in quel periodo, aveva vinto parecchi incontri e si era fatto valere anche contro pugili francesi, allora di solito superiori agli italiani per tecnica visto che la nobile arte si era sviluppata in Francia ben prima che da noi.
La prima difesa di quel titolo conquistato lontano dal ring fu organizzata proprio a Genova per il 19 maggio 1923, quattro giorni dopo il diciottesimo compleanno di Mascena, avversario l’ennesimo pugile romano di questa storia, Romolo Parboni, detto Uragano, cinque anni più vecchio del rivale. I due si erano già affrontati nel febbraio del 1922 a Roma, si sa che finì ai punti in dieci riprese, con vittoria di Parboni per alcune fonti, con un pareggio per altre. Questa volta il match era titolato e dunque fu previsto sulle quindici riprese. Parboni picchiava forte, ma faticò ad aver ragione del ligure fino alla dodicesima ripresa quando Mascena sfinito dai colpi crollò definitivamente al tappeto, perdendo subito quel titolo che non aveva in realtà mai vinto. Non sarebbe mai più tornato sul quadrato: morì il giorno dopo per i troppi colpi subiti.
La corsa di Mario Bosisio invece proseguì, da un successo all’altro: il milanese divenne prima campione italiano poi europeo dei welter, successivamente conquistò entrambi i titoli anche nei pesi medi, e li mantenne tutti e quattro per un bel periodo, salendo e scendendo di peso a seconda di quale dovesse difendere. Tra il 1927 e il 1930 affrontò tre volte Leone Jacovacci, fortissimo pugile italiano dalla pelle nera, era nato in Congo da madre locale e padre italiano ed era stato allevato poi dai nonni a Viterbo ed aveva imparato a boxare in Inghilterra dove era fuggito a sedici anni imbarcandosi come mozzo per sfuggire ai pregiudizi razziali. Furono tre match epici che i due si divisero equamente, una vittoria a testa e un pari, anche se molti dicono che i verdetti furono influenzati a favore di Bosisio dal fatto che il Duce non amava affatto Jacovacci: nero e sportivamente di scuola britannica. Bosisio combatté fino al 1932, perse tutti i titoli con grande dignità sul ring poi chiuse la carriera con due vittorie a Milano e Varese e un pari a Viareggio il 27 novembre del 1932, ultima sua esibizione su un ring.
Contrariamente a quel che era capitato al povero Mascena, l’aver combattuto oltre 130 match, l’essere finito KO sei volte e l’aver subito chissà quante migliaia di colpi in un periodo in cui certo non si facevano Tac per controllare se c’erano danni cerebrali, non nocque minimamente alla sua salute. Quando morì a Milano il calendario diceva 10 giugno 1988, gli mancavano poche settimane a compiere 87 anni. Il destino aveva scelto di dare tutto a uno di quei due ragazzi che sognavano le Olimpiadi tirandosi pugni su un ring dentro un cortile della vecchia Milano, e nulla all’altro: di Pietro Mascena non ci resta nemmeno una fotografia.