Bob Marley: il Reggae nella mente, il Calcio nel cuore
L’11 maggio 1981 moriva il leggendario cantante reggae Robert Nesta Marley. Da tutti conosciuto con il soprannome di “Bob”, questa figura viene ricordata per essere stato l’autore di alcuni pezzi storici come “Get Up, Stand Up” e “Redemption Song”. Sono molte le storie che girano intorno a a Marley. Una delle più ricorrenti è, senza dubbio, quella che ci racconta il legame tra questo personaggio e il mondo dello sport.
Bob Marley, infatti, anche grazie alla sua filosofia e al suo stile di vita legato alla cultura rastafariana, era un grande appassionato di Sport. Tra le sue discipline preferite ne possiamo citare due in particolare: la corsa ed il calcio.
Tutto questo perchè Bob era un rastafariano convinto, seguace ortodosso di quella filosofia che imponeva di tenere il corpo “integro e più puro possibile”. Per seguire al dettaglio uno stile di vita “i-tal”, Nesta (soprannome con cui il cantante era chiamato dai suoi amici più intimi) si alzava tutte le mattine molto presto, alcune voci dicono addirittura prima dell’alba, e si recava sulle spiagge di Kingston per effettuare delle corse lunghe anche 10 km.
Il primo impatto con il calcio, invece, fu ancora più precoce. Già quando viveva a Nine Mile: un piccolo villaggio nel centro dell’isola caraibica della Giamaica dove era nato il 6 febbraio 1945, Marley, infatti, riusciva ad organizzare partite di calcio improvvisate con palloni fatti di qualsiasi materiale si trovasse in giro: da lattine ammaccate a bottiglie di plastica passando per cumuli di stracci non più utilizzabili tenuti insieme da un semplice spago.
Questa sua passione aumentò quando la futura stella mondiale della musica reggae si trasferì, a metà degli anni ’50 del XX secolo, assieme alla madre Ciddy, nel ghetto di Trenchtown della capitale giamaicana di Kingston. Secondo molti, il pallone, salvò quel giovane della campagna giamaicana da una vita di delinquenza a cui erano predestinati molti ragazzi della periferia della capitale giamaicana.
Il calcio infatti, anche a Trenchtown, rappresentava quel linguaggio universale conosciuto da tutti ed era un mezzo tramite cui, ogni persona, riusciva a creare una propria rete di conoscenze. Con esso, ad esempio, secondo la leggenda, Bob Marley riuscì ad incontrarsi, per la prima volta, con un certo Peter Tosh: colui che pochi anni dopo sarebbe stato, assieme allo stesso Bob, uno dei fondatori del gruppo “The Wailers”.
Nel corso della vita del re del reggae il pallone ed il calcio furono sempre due costanti presenti. Dovunque andasse, e nonostante qualunque cosa facesse, il cantante riusciva, in un modo o nell’altro ad organizzare una partita di calcio, anche nelle situazioni più disparate.
Famoso, anche per i meno preparati, era, ad esempio, il campo da calcio che si trovava presso la residenza dello stesso Marley a Kingston. All’indirizzo di Hope Road 56, infatti, il cantante, i suoi familiari, i suoi amici ed i suoi numerosi conoscenti organizzavano veri e propri match durante l’intero arco della giornata.
La partite duravano anche ore, “fino a che il buio della notte impediva di scambiare uno stinco avversario per il pallone”. Inoltre, a distanza di parecchi anni, il campo di Hope Road ancora utilizzato dai figli di Marley e dai loro amici.
Tra gli amici Nesta poteva contare anche su Allan “Skill” Cole: uno dei più importanti attaccanti della storia della nazionale giamaicana di calcio che, come Bob, era un rastafariano convinto. Proprio grazie a lui, il re del reggae cominciò ad allenarsi secondo una vera e propria routine quotidiana.
Per questo sua lavoro fu omaggiato da Marley in una delle sue canzoni più famose: War. Per la precisione, Cole fu aggiunto come co-autore nei credits del celeberrimo pezzo anti-imperialista. Ma è con l’esilio forzato di Bob a Londra che il calcio giocato assunse ancora più importanza nella vita del cantante. Tale avventura iniziò dopo il 3 dicembre 1976: giorno in cui Bob, sua moglie Rita con alcuni loro figli ed il manager Don Taylor, rimasero vittime di un attentato, vista la crisi politica che la Giamaica stava attraversando in quelli stessi anni. Tale evento, solamente per puro caso, non provocò la morte di nessuno dei bersagli.
Dopo quell’attacco il re del reggae decise di trasferirsi nella capitale del Regno Unito. Il fato volle che il cantante, assieme ai membri del gruppo Wailers, si insediò al numero 32 di Oakley Road, una strada del quartiere Chelsea, a poche decine di metri da Battersea Park, loro campo da calcio per eccellenza.
Questo fatto spinse Bob, grazie anche al sostegno decisivo di Cole, a creare una vera e propria squadra di calcio rastafariana: l‘House of Dread Football Club. Di questo team facevano parte i seguenti personaggi: Bob Marley (nel ruolo di centrocampista-regista); Allan Cole (attaccante); Jill, cuoco I-Tal food, (centrocampista di contenimento); Carlton Barrett, percussionista dei The Wailers (difensore centrale); Aston “Family Man” Barrett, bassista dei The Wailers, (regista basso); Neville Garrick, tecnico luci e responsabile grafico, (ricoprì più ruoli); Alvin Seeco Patterson, batterista dei The Wailers, ( senza ruolo pre-definito ma spesso visto giocare in difesa a causa dell’età).
Furono due le partite, che l’House of Dread Football Club dovette affrontare, che ci piace ricordare in particolare. La prima si giocò nella primavera del 1977, pochi mesi dopo l’arrivo del cantante giamaicano a Londra, contro la squadra di calcio legata ai razzisti del National Front.
Il fattore politico e di rivincita degli immigrati caraibici ebbe un ruolo fondamentale in quel match. Bob e i suoi amici, infatti, giocarono una partita senza mai tirarsi indietro, dal punto di vista agonistico, ed effettuando un pressing sugli avversari che difficilmente riproposero in altre occasioni.
L’agonismo messo in campo, Bob e i The Wailers, provarono negli anni successivi ad usarlo anche in alcune loro canzoni per riaccendere quello spirito di rivolta che, secondo loro, col passare del tempo si stava perdendo sempre più. Proprio in quel 1977, inoltre, i ragazzi del reggae vennero a conoscenza dello stile musicale del punk e di alcuni gruppi locali, molto attivi nel genere, come i Clash. Da tale unione uscì fuori una canzone dal titolo emblematico: Punky Reggae Party.
La seconda partita “di livello” si svolse, invece, nel 1980, durante il tour europeo per presentare l’album “Uprising”. In quell’occasione, la squadra rastafariana riuscì a organizzare un match con un vero e proprio team calcistico professionista del campionato francese: l’FC Nantes.
La squadra d’oltralpe sottovalutò gli avversari e dovette mettere in campo tutta la sua qualità per raggiungere il risultato finale di 4-3 a suo favore. Tutto questo, però, non impedì che tra le due squadre si creasse un vero e proprio spirito di amicizia.
Ciò lo si può dedurre da alcune testimonianze di chi prese parte al match. Ad esempio il portiere franco-marocchino Jean-Paul Bertrand Demanes affermò: “All’inizio eravamo un po’ sorpresi. Non li conoscevamo molto come artisti, sapevamo che il nostro mister aveva dato l’ok per la partita, ma quando li abbiamo visti arrivare con il loro pullman… stavano fumando certi petardi… insomma, hai capito, no? Poi abbiamo fatto amicizia e siamo stati benissimo”.
Da altre testimonianze, invece, veniamo a conoscenza delle eccellenti doti di Bob Marley su un rettangolo da gioco. Ad esempio, il centrocampista Henri Michel disse che Nesta era un calciatore: “Niente male, davvero. E poi metteva sempre la gamba, pure se stavamo giocando in allegria”. L’amore di Bob Marley verso il calcio non venne mai meno. Purtroppo, questa mania, fu la causa di un tragico incidente che lo portò alla morte prematura.
Il 10 maggio 1977, sempre durante un tappa francese di un tour dei The Wailers, si decise di disputare una partita di calcio presso l’hotel che ospitava il gruppo nelle ore precedenti al concerto. Ad un certo punto, quando il punteggio era 6-1 per il team dei cantanti giamaicani, Bob Marley rimase vittima di una entrataccia durante una normale azione da gioco.
Nesta, che di solito si rialzava come se nulla fosse dopo ogni contrasto, stavolta rimase giù e si toccò la punta del piede destro. Secondo alcune testimonianze il re del reggae perse anche del sangue ma nonostante ciò, dopo essersi fatto medicare, continuò a giocare come se nulla fosse. Purtroppo quel fallaccio era avvenuto nello stesso punto in cui Bob aveva subito, qualche anno prima, una brutta entrata molto simile. Dopo il nuovo fallo il cantante reggae, nonostante l’antitetanica, perse l’unghia e contrattò una infezione.
Nesta stesso, però, vista la sua fede nella religione rastafariana e seguendo alcuni consigli di amici poco fidati, non fece nulla per due anni e più. Solamente nel 1980 si capì che, da quel semplice infortunio, un cancro si era diffuso in tutto il corpo di Bob.
Tale cancro non gli lasciò ancora molto tempo per vivere. Nonostante si stesse avvicinando la sua ultima ora, però, Nesta non scrisse alcun testamento.
Il re del reggae fece una sola richiesta. Voleva essere tumulato, nella sua isola, con cinque oggetti in particolare che, secondo lui, rappresentavano appieno la sua breve ma intensa vita: una chitarra Gibson, una canna d’erba, una copia della Bibbia aperta al salmo 23, l’anello regalatogli dal principe etiope Asfa Wossen e, guarda caso, un pallone da calcio.
Nonostante sia scomparso da oltre 40 anni la figura di Bob Marley ha ancora una forte influenza sul mondo del pallone. Ad esempio, il Bohemian, squadra della massima serie irlandese, voleva usare la faccia del re del reggae sulle maglie da trasferta nel 2019: purtroppo tale autorizzazione è stata negata dall’agenzia che cura i diritti di immagine dello stesso cantante giamaicano.
Un’altra curiosità riguarda l‘Ajax. Durante l’intervallo delle partite casalinghe dei Lancieri di Amsterdam alla Johan Cruijff Arena, si sente dagli altoparlanti qualche pezzo di Bob come “Three Little Birds”.
Ottimo articolo aggiungo solo che bob ha giocato in Brasile con Paulo cesar e contro la nazionale di Haiti nel 1980
Bel pezzo, un’unica fondamentale precisazione va fatta sulla correlazione tra l’infortunio calcistico di Bob e il suo cancro: non è stata mai dimostrata, anzi, i referti medici lo hanno escluso. Robert Nesta Marley è dunque morto di cancro come purtroppo tantissime altre persone, senza alcun principio causa-effetto col mondo del calcio.
Molto Vero quello che dice Grazie.
Complimenti per l Articolo…aggiungo solo che Bob avrebbe voluto Riposare ad Adis Abeba…I Rastafariani anelano il Rimpatrio verso la Terra Madre…Complimenti ancora & Grazie.