“Ci sono cose che ci lasciano un segno evidente. Persone che incontri per caso e poi restano per sempre”, cantava Pino Daniele in ‘Non si torna indietro’ (assieme a Lucy Jules).
Nel volume ‘La bibbia della fede laziale’ Elmar Bergonzini lo ha definito il “marito della Lazio”. Roberto Lovati sbarcò nella Capitale nel 1955 e difese i pali del club biancoceleste fino al ’61, diventando così il numero uno del primo titolo (la Coppa Italia del ’58) festeggiato da capitano.
Non è un sacrilegio se affermiamo che ha incarnato la lazialità più di tanti altri: Bob infatti è stato il braccio destro di Tommaso Maestrelli, tecnico delle giovanili, dirigente, osservatore, allenatore della prima squadra nei momenti più delicati del club. Se i nostri padri videro in Guido Bistazzoni il primo portiere alto intorno al metro e 90, nei Cinquanta il gigante tra i pali era stato Bob Lovati.
Esordì in Serie A in Torino-Bologna del 19 maggio 1954. L’ultimo match nel massimo campionato fu Lazio-Sampdoria del 12 marzo 1961: anche Corrado Giubilo (fratello dei giornalisti Gianfranco, Alberto, Sergio) scrisse l’explicit come portiere biancoceleste di fronte ai blucerchiati, nella Capitale. Roberto era nato il 20 luglio 1927, esattamente quindici anni dopo Umberto Lenzini. Un segno del destino, come il fatto che giocò anche a Pisa, città natale di ‘Masino’.
Bob Lovati si spense il 30 marzo 2011 e ai suoi funerali si radunarono varie generazioni di laziali. Nella chiesa di Ponte Milvio, dove era stato salutato anche Maestrelli. Da tecnico biancoceleste conquistò la Coppa delle Alpi del 1971.