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Il Biglietto della discordia: l’Iran, le donne e il divieto medievale per entrare allo Stadio
La chiamavano Blue Girl, per i colori della sua squadra preferita, l’Esteghlal di Teheran, la parte blu appunto del Derby della Capitale iraniana. Sahar Khodayari, 29 anni, era una ragazza che amava il calcio ed era disposta a tutto pur di vedere la sua squadra del cuore allo Stadio. Travestimenti, barba finta, vestiti da uomo per riuscire a eludere il divieto che vige in Iran per le donne di assistere alle partite di calcio all’interno dell’impianto. L’aveva sempre scampata fino allo scorso marzo quando venne riconosciuta allo Stadio Azadi e arrestata per due giorni per oltraggio al decoro.
La pena per questo reato in Iran è punita con un periodo di detenzione che va dai 6 mesi ai due anni e Sahar, non potendo più gestire lo stress in attesa della sentenza e per manifestare contro questa palese violazione di diritti, ha deciso di darsi fuoco, perdendo la vita in ospedale a causa delle ustioni di terzo grado su tutto il corpo.
Il divieto per le donne di assistere alle partite di calcio allo stadio è una questione più volte dibattuta in Iran e ha attirato le attenzioni di varie associazioni in difesa delle donne. Su Twitter c’è proprio un movimento chiamato OpenStadiums che si descrive come “un movimento di donne iraniane con l’obiettivo di mettere fine alla discriminazione e permettere alle donne di entrare negli stadi”.
Infatti, non è la prima volta che ci troviamo a commentare situazioni del genere nel Paese islamico. Gli episodi sono tanti e con il solito denominatore comune. La discriminazione nei confronti delle donne.
Il biglietto della discordia
Settembre 2017 – Pur avendo regolari biglietti per assistere al match, le donne iraniane sono state respinte all’ingresso dello stadio per la partita valevole per la qualificazione alla Coppa del Mondo del 2018 in Russia della propria nazionale contro la Siria.
Le involontarie protagoniste di una vicenda incresciosa si sono poi riunite al di fuori dello stadio Azadi di Teheran in segno di protesta.
Da notare, inoltre, che le donne siriane attraversarono le porte di ingresso dell’impianto senza alcun problema, dopo aver mostrato i loro biglietti e passaporti.
In quella occasione, tuttavia, qualcosa pareva essere diverso, visto che tante donne iraniane avevano potuto acquistare online senza alcun problema i biglietti per la suddetta partita una settimana prima.
Sembrava che il divieto fosse stato finalmente rimosso e che l’Iran potesse avvicinarsi al mondo reale (finalmente), ma così non è stato.
La federazione di calcio iraniana, infatti, affermò poi che i biglietti erano stati venduti per errore e hanno promesso di rimborsare le donne che li hanno acquistati (ci mancherebbe, oltre al danno la beffa).
Alcune tra le iraniane con i biglietti decisero di andare comunque allo stadio, curiose di vedere cosa sarebbe successo.
“Non ci hanno lasciato entrare, hanno scattato fotografie e video di noi e hanno minacciato di arrestarci, poi hanno raccolto i nostri biglietti e ci hanno portate via”, ha riportato su Twitter una tifosa.
Alcuni minuti prima del fischio d’inizio, addirittura il commentatore della televisione dello stato iraniano dichiarò: “È un peccato che le donne iraniane siano assenti quando vediamo donne provenienti dalla Siria e da altri paesi all’interno del nostro impianto”.
L’ultimo a tentare di cambiare la situazione, nel 2006, è stato l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad, che cercò di ottenere il consenso di chierici influenti per forzare una riflessione sul divieto.
Tuttavia, Ahmadinejad dovette affrontare molte critiche da parte dei politici conservatori e decise poi di abbandonare la sua richiesta.
Il #Noban4Women di Russia 2018 e uno spiraglio di apertura
Durante gli ultimi mondiali di Russia 2018, a San Pietroburgo prima della prima partita del girno, i tifosi di Iran e Marocco si incontrarono lungo le strade sventolando le bandiere delle loro nazioni, cantando e suonando fischietti in modo del tutto pacifico il tutto con la numerosa presenza di supporter di sesso femminile. Di contro, in una delle maggiori piazze a Teheran, un cartellone gigante portava lo slogan, riferito al Mondiale e alla nazionale: “One nation, one heartbeat – Una nazione, una battito cardiaco”. Nella foto non sono presenti donne.
I tifosi iraniani durante l’inno nazionale prima del calcio d’inizio mostrarono dei cartelloni contro il divieto per le donne iraniane di poter assistere alle gare sportive in patria. I cartelloni con scritto #NoBan4Women e “Support Iranian Women to Attend Stadiums” sono stati tenuti in alto a lungo durante il match.
Ovviamente per alcune di queste donne la sfida contro il Marocco è stata la loro prima volta allo stadio come quella di una coppia che aveva con se un cartellone con scritto: “4127 Km per essere allo stadio finalmente come una famiglia”.
Proprio durante la Coppa del Mondo in terra russa è stata concessa una deroga al divieto, ammettendo le donne all’interno degli stadi in Iran dotati di maxischermi per guardare le partite della nazionale. Lo stesso è avvenuto in occasione della finale di Champions League Asiatica allo Stadio Azadi di Teheran per la partita tra i padroni di casa del Persepolis e Kashima Antlers.
La Rivoluzione del Pallone delle Donne Iraniane
Il 29 novembre del 1997 in Iran gli occhi sono tutti puntati sulla nazionale di calcio. Il pallone, bollato dal regime degli ayatollah come “inutile perdita di tempo tipica degli occidentali”, rappresenta invece per molti cittadini iraniani, una speranza di libertà.
Lo è soprattutto per le donne, che hanno visto cambiare le cose con il ritorno al potere (l’11 febbraio del 1979) dell’ayatollah Khomeini. Se prima, come racconta Franklin Foer nel suo libro “Come il calcio spiega il mondo”, negli anni dello scià Reza Pahlavi (e prima ancora con il padre Reza Khan) il calcio era diventato a mano a mano “l’attività prediletta del regime”, con l’ayatollah Khomeini diventa un’attività da mettere al bando. Non a caso, tra le prime azioni politiche del nuovo regime (di forte carica simbolica) c’è anche la presa in possesso del campo di calcio dell’Università di Teheran che lo Scià aveva espropriato. Sotto Khomeini, il campo, viene invece riadattato come centro di preghiera.
Per le donne iraniane invece il pallone significa ben altro: modernità, libertà, riconoscimento dei loro diritti.
E il divieto valeva anche quel sabato 29 novembre 1997. Quando la nazionale iraniana è chiamata ad ottenere una storica qualificazione ai mondiali di calcio che dovranno disputarsi in Francia. L’avversario in programma è l’Australia e la partita decisiva si gioca a Melbourne. L’andata è terminata sul risultato di 1-1. Nella sfida di ritorno l’Australia, è avanti per due reti a zero quando manca un quarto d’ora al triplice fischio. Fino a quel momento, l’Iran è una squadra irriconoscibile. Come scrive lo stesso Foer “sembra quasi che il regime abbia ordinato la sconfitta”.
Ma negli ultimi quindici minuti invece accade l’incredibile. La formazione allenata dal brasiliano Valdeir Vieira rimonta lo svantaggio e riesce ad agguantare il pareggio. Per la regola dei gol fuori che valgono doppio sono gli iraniani a qualificarsi. E, al fischio finale, non può essere altrimenti, a Teheran è il tripudio. La gente scende nelle piazze a festeggiare. Donne comprese, che per l’occasione vogliono liberarsi dei vincoli che il regime impone loro. Come quello di portare l’hijab che infatti tolgono e gettano via. La paura tra gli uomini del regime, è quella che la festa del popolo possa trasformarsi in ben altro. Forse in un’altra straordinaria ondata di rivoluzione come quella che permise a Khomeini di ritornare in Iran, diciotto anni prima.
Quando i ragazzi di Vieira ritornano in patria viene organizzata una grande festa allo stadio Azadi di Teheran. La squadra arriva addirittura in elicottero. Alle donne però, il regime per un’altra volta ancora, ha imposto di non poter prendere parte ai festeggiamenti. Migliaia di ragazze si radunano così fuori dallo stadio. Molte di loro iniziano un’azione di protesta contro la polizia. Vogliono assolutamente entrare allo stadio e festeggiare la qualificazione ai Mondiali. La polizia, forse intimorita dalla possibilità di incidenti, cede e concede l’ingresso ad alcune migliaia di loro che vengono sistemate in un settore speciale. Ma sono le altre migliaia rimaste fuori che non accettano la decisione. E allora decidono di farsi giustizia da loro: sfondano il cordone della polizia ed entrano allo stadio. A quel punto, anche i poliziotti capiscono che non possono farci niente. Quel giorno, possono solo restare a guardare. E festeggiare insieme agli uomini e alle donne iraniane. Per un giorno, il regime degli Ayatollah si è sentito meno forte. E il popolo iraniano più libero. Vollero chiamarla così: la rivoluzione del pallone.
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