Si riaccendono i riflettori su un tema delicato come il doping nell’ambiente calcistico degli anni 70 e 80. A sottolinearlo ci ha pensato un campione del mondo, bandiera dell’Inter e ora commentatore e opinionista Sky, Giuseppe Bergomi. Lo “Zio”, intervenuto ai microfoni dell’emittente televisiva italo – svizzera RSI, in occasione di un convegno dedicato ai giovani e al doping tenutosi all’Expo di Milano, ha voluto mettere in guardia le nuove generazioni sulla pericolosità dell’uso di sostanze volte al miglioramento delle prestazioni sportive, ammettendo che, durante la sua carriera, in particolar modo agli inizi degli anni 80, si faceva largo uso di medicinali broncodilatatori, come il famigerato Micoren.
Le pillole rosse di questa sostanza, dal 1985 dichiarata vietata in quanto dopante e pericolosa, venivano somministrate agli atleti per “rompere il fiato” ed erano a disposizione di tutti i giocatori nello spogliatoio. Bergomi, dopo aver affermato di essere preoccupato per quello che prendeva in gioventù, ha fatto un parziale passo indietro, dichiarando che la sua paura fosse a livello generico, sottolineando che l’obiettivo delle sue parole fosse quello di avvertire i giovani partecipanti al convegno in Expo sui rischi di un mancato iter corretto di allenamento sostituito con sotterfugi vietati dalla legge. L’ex colonna della nazionale campione del mondo del 1982 giustifica i comportamenti di allora come frutto di un’ingenuità da parte sua e dei suoi colleghi, che le nuove promesse del calcio non devono avere, consigliando, sempre, il consulto del proprio medico.
Le parole di Bergomi fanno eco alle tante passate manifestazioni da parte di altri ex calciatori, protagonisti del calcio italiano di quaranta anni fa. Tra gli altri, l’ex ct della Russia Fabio Capello e Cesare Prandelli.
Il primo a denunciare le pratiche di doping utilizzate dalle squadre sportive della Serie A fu Carlo Petrini che, con il suo libro di maggior successo “Nel fango del Dio pallone”, spiega passo per passo come, all’epoca, gli atleti venissero imbottiti di sostanze medicinali di vario genere, di come venivano elusi i controlli da parte dei medici sportivi e di come, soprattutto, lui stesso abbia pagato, sotto il profilo della salute, quegli anni scellerati. Petrini, morto all’età di 64 anni, afflitto da un tumore e da un glaucoma che lo aveva reso praticamente cieco, rappresenta uno dei tanti simboli di quella generazione di atleti, dopati da medici senza scrupoli.
Ci sono i casi, invece, in cui ad essere il simbolo del doping anni 70 è un’intera squadra: la Fiorentina. Definita da molti, a posteriori, come una squadra maledetta, la viola di quei tempi aveva tra le sue fila molti giocatori che, al termine della loro carriera, hanno dovuto combattere, e in molti casi soccombere, con malattie di varia natura tanto da spingere la Procura di Firenze nel 2005 ad aprire un’inchiesta per l’uso sconsiderato di alcuni medicinali, all’epoca non vietati, tra cui, per l’appunto, il Micoren e il Cortex, sostanza usata per aumentare la massa muscolare.
Tra gli sfortunati protagonisti di questa vicenda, ci sono molti giocatori che sono deceduti a seguito di malattie per cui si sta ricercando, ancora oggi, una correlazione con l’utilizzo di questi medicinali. I casi più famosi sono quelli di Bruno Beatrice, morto per leucemia, Nello Saltutti, morto per infarto e Ugo Ferrante, tumore alle tonsille. Molti, dopo una lunga terapia, si sono salvati come Domenico Caso, trapianto di fegato, Giancarlo De Sisti, affetto da ascesso frontale ora guarito, e Giancarlo Antognoni sopravvissuto ad una crisi cardiaca.
Bruno Anselmi, che di quella Fiorentina era il medico sociale, difende il suo operato, sottolineando come, all’epoca dei fatti, non potesse essere dichiarato colpevole per aver somministrato medicinali, in quanto ancora non considerati illegali come sostanze dopanti.
Quello che emerge, in conclusione, dalle parole di Bergomi e da questa breve sintesi sul doping degli anni 70 e 80 è che molto poco è ancora stato detto e che, purtroppo, come spesso accade, si farà fatica ad individuare i diretti responsabili di quelle pratiche volte al miglioramento delle prestazioni sportive e al raggiungimento di risultati immediati, causando lacrime non di gioia ma di disperazione per quelle persone che in cambio di una gloria temporanea hanno ottenuto un calvario senza fine.