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Tra qualche giorno tornerò a Roma per una breve vacanza con la famiglia. In questi ultimi sette anni ci ho passato solo una mezza giornata nel 2014. C’è però stato un decennio della mia vita, il primo di questo tormentato millennio, in cui andavo a Roma più volte l’anno. La conoscevo vagamente per qualche breve viaggio coi miei genitori quand’ero bambino, ma la scoperta che ne feci successivamente in età adulta legò per sempre me, lombardo con radici secolari nello stesso paese, preciso e maniaco della puntualità, a questa città tanto diversa, dove tutto è opinabile. Roma fu anche la mia porta verso il Sud Italia, che prima evitavo accuratamente di frequentare e dove ora invece, con mia moglie, anche lei rigidamente del Nord, per metà piemontese e per metà valtellinese, e mia figlia cerchiamo di andare quando possibile a dispetto delle distanze.

Non è che io abbia viaggiato poco. Ho appoggiato i piedi in tutti e cinque i continenti del globo, visto molte città per cui si può perdere la testa, e per qualcuna, mi viene in mente Auckland, l’ho anche persa, ma Roma…

Al vero spirito di Roma ho girato intorno per diverso tempo negli anni in cui la frequentavo spesso, per via del Rugby o del Carrom, o delle corse alle Capannelle, o di un viaggio con colei che sarebbe diventata mia moglie, ma l’ho colto veramente dopo un po’ di tentativi in una stazione ferroviaria davanti a una macchinetta automatica che produceva biglietti Atac. L’apparecchio molto probabilmente stampava i titoli di viaggio a una velocità talmente bassa da far pensare a qualche turista tedesco, o lombardo come me, di esser guasta, e allora qualche addetto, probabilmente stufo delle lamentele, aveva avuto l’idea di appiccicarci sopra col nastro adesivo un biglietto con la scritta EMETTITRICE LENTA”. Ecco questo è quanto: Roma è lenta e te lo dice, non se ne vergogna, è la sua filosofia di vita. Io sono una persona impaziente per natura, ma non a Roma, non da quando ho conosciuto l’emettitrice lenta.

Da questo episodio ho anche capito che di una città si impara molto frequentandone i mezzi pubblici. Sempre a Roma sul tram che dalla zona Flaminio porta a Piazza del Popolo un serafico conducente spiegò a noi e a tutti gli altri passeggeri che il suo mezzo non andava più, ma che eravamo quasi al capolinea e potevamo scendere e seguendo i binari arrivarci facilmente a piedi. Nessuno si lamentò e tutti scesero e si avviarono, a Milano ci sarebbe stata una mezza rivoluzione… Un’altra volta un autista fermò il suo autobus in mezzo alla strada per rispondere a una signora che da terra gli chiedeva cosa doveva fare per recuperare un oggetto smarrito, e le persone a bordo, lungi dal lamentarsi per il ritardo, contribuirono alla discussione fornendo informazioni a loro volta. Salire sui mezzi ed attraversare le città a caso è un ottimo modo per conoscerle, ad esempio  a Oslo vedresti bambine di non più di 8/9 anni sole sulla metro con al collo un nastro di quelli che si usano per portare i pass con appeso il cellulare e le chiavi di casa, a Freemantle, la cittadina portuale di Perth dove tanti immigrati italiani sono sbarcati negli scorsi due secoli, potresti ancora incontrare due signore  ottantenni che chiacchierano tra loro in un dialetto stretto del Sud Italia.

Però Roma è unica, è storia, atmosfera, Roma è consapevole che non deve far nulla per essere Roma, lo è perché la respiri nell’aria, e non vedo l’ora di ritrovarla dopo averla tradita per troppi anni.

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