Definirlo un Australian Open sbalorditivo sarebbe un eufemismo. Questa edizione ci ha regalato sorprese a non finire e sconfitte davvero impronosticabili. Basti pensare che in campo maschile i due giocatori in vetta al ranking mondiale non sono nemmeno arrivati ai quarti. Ebbene sì, Murray e Djokovic, i due grande favoriti, stavolta hanno dovuto alzare bandiera bianca anzitempo, detronizzati da due outsider sui cui a inizio torneo nessuno avrebbe scommesso un centesimo.
Il primo a firmare l’impresa è stato l’uzbeko Denis Istomin, che al secondo turno ha estromesso Nole, dopo una battaglia di quasi 5 ore conclusasi solo al quinto set. Una vittoria tanto storica quanto inaspettata, perché Istomin, per quanto sia da anni una presenza fissa in top 100, raramente aveva fatto intravedere quegli sprazzi di tennis strabiliante che lo hanno portato al trionfo, complice anche un Djokovic parecchio sottotono. L’uzbeko agli ottavi si è poi dovuto arrendere a Dimitrov, anche a causa di un infortunio che lo ha fortemente penalizzato, ma la sua rimane comunque una prestazione fantastica. Così come fantastico è stato il match di Mischa Zverev contro Murray. Il tedesco, fratello maggiore del baby prodigio Alexander Zverev, negli ottavi ha messo in mostra un tennis sublime, caratterizzato da continui serve & volley, cambi di ritmo e improvvise accelerazioni di dritto, mandando in tilt le difese del numero 1 del mondo. Non importa che poi il suo cammino si sia infranto ai quarti, dinanzi al redivivo Roger Federer. Zverev ha comunque messo a segno il colpaccio, vincendo la partita più importante della sua carriera.
E in campo femminile? Anche qui le sorprese non si sono fatte attendere. Il tutto per lo più a causa di una mina vagante che ha letteralmente fatto saltare il banco: Coco Vandeweghe. L’americana classe ’91 ha ribaltato ogni sorta di pronostico: dapprima ha eliminato la nostra Roberta Vinci, poi dal terzo turno si è sbarazzata della Bouchard, della Kerber, numero 1 al mondo, e della Muguruza. Il tutto con un tennis rapido e potente, che le ha permesso di battere avversarie ben più quotate e di raggiungere la sua prima semifinale Slam. Le sue esultanze impertinenti e i suoi C’mon in faccia alle avversarie non sono il massimo della sportività, ma la Vandeweghe ha comunque dimostrato di avere carattere e personalità, doti indispensabili per raggiungere le vette del ranking mondiale.
Tra le imprese di Zverev, Istomin e la Vandeweghe, è passato in secondo piano un altro exploit, che ha però dell’incredibile: l’approdo in semifinale di Mirjana Lucic-Baroni. E perché tanto stupore? Per capirlo bisogna fare un salto indietro di vent’anni, al 1997.
All’epoca la Lulic è una quindicenne croata dal talento cristallino. Davanti le si profila un futuro radioso. Dopo aver vinto a livello junior sia lo Us Open che l’Australian Open, conquista il suo primo titolo tra i senior nel torneo casalingo di Bol. L’anno successivo, a sedici anni, prima si aggiudica il doppio all’Australian Open, in coppia con l’altra stella nascente Martina Hingis, poi raggiunge la finale nel doppio misto a Wimbledon, insieme a Mahesh Bhupathi.
Eppure, malgrado le apparenze, la giovane Mirjana è tormentata. Il padre Marinko era stato un atleta olimpionico di Decathlon e agli occhi dei media croata appare come un personaggio illustre e degno di ammirazione. Ma in realtà, fra le mura di casa Marinko Lucic è un mostro. Per anni picchia la moglie, i figli maschi e soprattutto lei, la piccola Mirjana. Fin dall’età di 5 anni la riempie di botte, in modo quasi metodico, facendo sì che i segni delle percosse non si vedano. A volte si limita a prenderla a schiaffi, altre volte invece usa degli scarponi della Timberland per sfogare la sua rabbia su di lei. In molti sanno, ma nessuno osa opporsi al rispettabile Marinko Lucic.
Perché tutto questo accanimento verso sua figlia? Il motivo è semplice: Mirjana perdeva incontri che avrebbe dovuto vincere, a volte in campo sembrava svogliata e deconcentrata. Per questo meritava una punizione, chè le servisse da lezione.
Dopo la sconfitta in finale di doppio misto a Wimbledon e le susseguenti minacce paterne, Mirjana capisce che non si può continuare così e prende un’importante decisione: scappare dal padre. Insieme alla mamma e ai fratelli prima si rifugia dall’amico Goran Ivanisevic, vivendo come fosse una latitante, poi prende il primo volo per l’America. Negli States, malgrado le difficoltà iniziali, comincia una nuova vita, il cui apice arriva nel 1999, quando a soli 17 anni raggiunge a Wimbledon una storica semifinale, prima di essere eliminato da Steffi Graf.
Ma i fantasmi del passato continuano ad assillarla. I disturbi post-traumatici si riverberano sul suo gioco, tant’è che il 2000 si rivela un anno disastroso, in cui sprofonda oltre la 2000esima posizione de ranking. Di lì a poco inizierà un autentico calvario sportivo, fatto di pochissime soddisfazioni estemporanee e tante, cocenti delusioni. Nel 2004, Mirjana deciderà di ritirarsi. Perché oltre agli scarsi risultati sul campo, la Lulic è ridotta sul lastrico: nel 1998 aveva sottoscritto un ricco contratto di sponsorizzazione con la IMG, ma pochi anni dopo erano sorte problematiche di natura contrattuale che avevano comportato una lunga e dispendiosa causa legale, nella quale la tennista croata uscì economicamente dissanguata. E tempo dopo si scoprì un agghiacciante retroscena: dietro quella causa c’era lo zampino del padre Marinko.
Fine della storia? Nemmeno per sogno. Nel 2008 Mirjana riprende la racchetta in mano, ma è il 2010 l’anno della svolta: conosce e sposa Daniele Baroni, ricco uomo d’affari americano – proprietario di prestigiosi ristoranti in Florida–, che le permette di tornare ad allenarsi e di competere ad alti livelli. E 7 anni dopo, eccoci qui, a raccontare le sue gesta: a 18 anni di distanza Mirjana Lucic-Baroni torna a giocarsi una semifinale Slam, stavolta contro la terribile Serena Williams. Lo fa dopo aver estromesso dal torneo tenniste del calibro della Radwanska e della Pliskova. E soprattutto lo fa dopo aver dato un calcio al suo passato tormentato e a tutti coloro che in questi anni non hanno creduto in lei. Lei, a differenza degli altri, in se stessa ci aveva sempre creduto. E in questi Australian Open ha dimostrato che aveva ragione lei.