Ashgabat, capitale del Turkmenistan, situata tra il deserto del Karakum e i monti del Kopet Dag. Città dalla storia millenaria che sorge lungo la via della seta, distrutta e ricostruita più volte nel susseguirsi del tempo. Nell’ottobre del 1948, durante il periodo sovietico, venne rasa al suolo da un terremoto devastante che uccise più di 110.000 persone. Per cinque anni rimase una città fantasma. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la dichiarazione di indipendenza del Turkmenistan nel 1991, Saparmyrat Nyýazow, leader del partito comunista locale, instaurò una dittatura durata fino al 2006, anno della sua morte. Il governo dispotico, caratterizzato dal culto della personalità del presidente e da una forte impronta conservatrice in ogni ambito polito-sociale, ha contribuito in modo decisivo all’isolamento internazionale del Paese.
Solo nel dicembre 2013 si sono tenute le prime elezioni parlamentari, ma tuttora si registrano violazioni dei diritti umani, oltre a una sistematica censura della stampa. L’economia è soprattutto agricola con estese coltivazioni di cotone. Ingenti sono le riserve di gas naturale, il cui utilizzo è però limitato dall’assenza di adeguate vie di comunicazione. Nei diversi settori le privatizzazioni sono state poche e, nonostante una discreta crescita, rimangono numerosi problemi. Il tasso di disoccupazione è tra i più alti al mondo e metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Le disuguaglianze sociali si sono acuite negli anni, soprattutto nella capitale: a nord i fatiscenti quartieri popolari; a sud la ricca zona moderna dove le grandi opere, finanziate a scopo propagandistico, si alternano a parchi e statue d’oro in lunghe vie costeggiate da edifici in marmo bianco. Hotel di lusso, sfarzosi centri commerciali e edifici governativi off limits per la maggior parte della popolazione. Tutto è nuovo e appariscente, soprattutto di notte, in cui i giochi di luce colorano le facciate.
È qui che sorge il Complesso Olimpico di Ashgabat (Aşgabat Olimpiýa Şäherçesi), uno dei più imponenti d’Asia, che dal 17 al 27 settembre ha ospitato i 2017 Asian Indoor and Martial Arts Games, manifestazione sportiva quadriennale di 339 eventi in 21 sport: cinque sport olimpici (ciclismo, equitazione, sollevamento pesi, lotta e taekwondo), cinque sport olimpici disputati solo nelle varianti non olimpiche (atletica, basket, calcio, nuoto e tennis) e undici sport non olimpici (biliardo, bowling, danza sportiva, scacchi, Ju-jitsu, Kurash, Muay thai, Sambo, kickboxing, belt wrestling e lotta tradizionale). Oltre 4.012 atleti provenienti da 63 Paesi d’Asia e Oceania e un flusso stimato di 150.000 turisti stranieri. Una manifestazione fortemente voluta dal presidente Gurbanguly Berdimuhamedow, nella quale gli atleti turkmeni hanno spadroneggiato in modo inaspettato, alimentando qualche dubbio al riguardo: 245 medaglie, di cui 89 ori, e il primato sulla Cina ferma a 97 medaglie (42 ori).
I lavori per l’Ashgabat Olympic Complex sono iniziati in seguito alla nomina del 2010 da parte del Consiglio Olimpico d’Asia (OCA). Nel 2013 è stato demolito il recente stadio presente nella zona, dopo appena 10 anni di attività, per costruire il nuovo Stadio Olimpico, denominato in tal modo nonostante non abbia alcun riconoscimento ufficiale da parte del CIO. Impianto imponente da 45.000 posti, sormontato sulla copertura da una gigantesca ricostruzione di una testa di cavallo Akhal-Teke, simbolo del Paese, è stato rivestito di bianco, in parte marmo, per volontà presidenziale ed è abbellito da decorazioni d’oro e di brillanti. Il complesso di oltre 147 ettari possiede 30 strutture, compresi 15 impianti per le competizioni (4 arene indoor, un velodromo indoor, 2 campi esterni e 2 centri acquatici, indoor e outdoor), un villaggio sportivo per gli atleti, un centro medico di riabilitazione paralimpica, un Business Center e un Media Center.
Poi, centri culturali e commerciali, due alberghi a 5 stelle, ristoranti e negozi. L’intera zona è servita da nuovi passaggi pedonali e da una monorotaia interna di 5,2 km con 8 stazioni. Il costo totale del progetto della società di costruzioni turca Polimeks è stato di 5 miliardi di dollari, record di spesa per qualsiasi torneo AIMAG. Una spesa indubbiamente eccessiva e controversa soprattutto quando si vede che la carenza di denaro pubblico ha necessitato l’aumento della tassazione dell’ordine anche del 15-20% sui salari dei lavoratori turkmeni per finanziare l’opera faraonica. Inoltre, il tutto viene acuito dalle gravi accuse mosse al governo di aver eliminato per la stessa ragione i sussidi pubblici di acqua, gas ed elettricità e di aver sfollato migliaia di persone da diverse parti della città per migliorarne il decoro. A conclusione dell’evento tutto è tornato alla sua fredda immobilità. Le strade e gli impianti sono praticamente vuoti, il marmo risplende tra l’aria grigia di smog e il vento carico di sabbia. Una sensazione persa tra la tristezza e la meraviglia coglie lo spettatore dinanzi alla bellezza cristallizzata nel cuore del nulla. Decisamente un manifesto di propaganda in marmo bianco.