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Amedspor, quando una squadra curda spaventò Erdogan
E’ iniziata ieri l’offensiva turca contro il popolo curdo della Siria del Nord. Con l’Operazione Peace Spring la Turchia intende liberare la zona, un tempo occupata dall’ISIS, oggi in mano alle milizie dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), l’esercito curdo della Siria del Nord che insieme agli Stati Uniti ha combattuto per anni contro i terroristi del Califfato nero. Le intenzioni di Erdogan sono quelle di creare una safe zone attraverso la quale dare la possibilità ai rifugiati siriani di fare ritorno in patria, ma dietro ai motivi istituzionali c’è la volontà di allargare il controllo in una vasta area e, soprattutto, combattere il popolo curdo che in Turchia, attraverso il PKK (Movimento dei Lavoratori Curdi), viene visto dal Governo come un movimento terroristico a tutti gli effetti, e così anche i combattenti del YPG. La questione curda, però, non è un vicenda recente. E’ dalla fine degli anni 70 che la comunità curda combatte per la sua indipendenza. Sono passati tanti anni ma la situazione non è cambiata. E la lotta per l’identità continua. Anche nel calcio.
Nel Febbraio del 2016, l’unità anti-terrorismo della polizia turca fece irruzione nella sede dell’Amedspor, sequestrando computer e documenti dagli uffici del club. L’Amedspor è una squadra di terza serie e ha sede a Diyarbakır, capitale del Kurdistan turco sulle sponde del fiume Tigri. Qualche giorno prima, contro ogni previsione, aveva clamorosamente eliminato dalla coppa nazionale il Bursaspor, squadra della massima serie turca, garantendosi un posto ai quarti di finale contro il Fenerbahce primo in campionato.
La notizia dell’irruzione, fu diffusa in Italia attraverso i canali social del blog Minuto Settantotto, e divulgata in inglese dall’agenzia di stampa turca Cihan e dal sito d’informazione Kurdish Question. Rispetto ai motivi ufficiali del blitz, però, fu necessario procedere con cautela. Stando a quanto riportato da Today’s Zaman, versione in lingua inglese del quotidiano turco Zaman, il vicepresidente del club Nurullah Edemen avrebbe dichiarato che nessun dirigente dell’Amedspor fu informato sui motivi dell’irruzione, nonostante tutto il direttivo fosse presente in sede.
Il sito Kurdish Question sostenne che la polizia avesse proceduto in seguito ad un tweet inneggiante al terrorismo, attribuito dalle forze dell’ordine all’account della stessa società sportiva. Come chiarì il dirigente Servet Erol, il tweet era stato diffuso da un account che nulla aveva a che vedere con quello ufficiale: un errore molto grossolano, che indusse la dirigenza dell’Amedspor a credere che quella della polizia fosse stata un’operazione intimidatoria, più che di indagine.
Il tweet incriminato
Il tweet in questione, ormai eliminato, dedicava l’incredibile vittoria contro il Bursaspor a chi combatteva nelle città di Şırnak e Diyarbakır e a tutto il popolo curdo. Parole in cui riecheggiano i cori da stadio che costarono caro ai tifosi dell’Amedspor. Infatti i rossoverdi, durante la precedente partita di coppa, giocata a Istanbul contro il Başakşehirspor, avevano intonato canti a favore dei combattenti curdi e contro le stragi di bambini.
A seguito della partita, ai tifosi era stata vietata la trasferta di Bursa, costringendoli a seguire a distanza lo storico successo della loro squadra. Ma ancora più eclatante fu l’arresto a Istanbul di decine di tifosi – più di trenta per Kurdish Question, di cento per Today’s Zaman – colpevoli di aver intonato i cori sgraditi.
Le sanzioni
Ma le sanzioni a seguito della partita non riguardarono solo i tifosi. Il giocatore Deniz Naki, artefice del secondo goal contro il Bursaspor, fu squalificato per 12 giornate e multato di 19.500 lire turche, colpevole di aver pubblicato sui social un post che recitava: «Siamo fieri di essere un piccolo spiraglio di luce per la nostra gente in difficoltà. Come Amedspor, non ci siamo sottomessi e non ci sottometteremo. Lunga vita alla libertà!». Come riportò Kurdish Daily News, il giocatore fu accusato di “discriminazione e propaganda politica”. Naki, un passato nel FC Sankt Pauli di Amburgo, porta tatuata sul braccio la parola Azadî, libertà.
Non fu la prima volta che la squadra rossoverde si rese scomoda al regime di Erdoğan. Nell’ottobre del 2014 il club, che portava il nome turco della città di Diyarbakır, rimediò una multa dalla Federazione turca per aver cambiato nome in Amedspor, utilizzando la denominazione curda della città. Contemporaneamente, un cambio nello stemma permise ai tifosi di sventolare i colori della bandiera del Kurdistan, vietata in Turchia: un espediente non nuovo nel mondo del calcio, che ricorda – con le ovvie e dovute differenze – quando durante il regime di Franco i catalani quasi elessero a nuova bandiera nazionale quella blaugrana, per rimpiazzare la senyera vietata dalla dittatura.
La Coppa di Turchia 2015-16 è entrata nella storia della questione curda. Una squadra di terza divisione stva incredibilmente scalando la Coppa nazionale, portando la voce dei curdi lì dove meno la si vorrebbe in evidenza. La compagine venne poi eliminata ai quarti dal Fenerbahce ma ancora oggi, ad ogni partita dei rossoverdi, si alza il grido di un popolo che chiede di poter vivere in pace rivendicando la propria identità.
La partita con il Başakşehirspor a Istanbul fece clamore per i cori, gli arresti, il divieto di trasferta. L’eccezionale qualificazione ai quarti ai danni del Bursaspor fece parlare tutto il paese di questa squadra ribelle, che forse arrivò troppo in alto iniziando a dar fastidio, tanto da essere divenuta oggetto di un’irruzione che ancora oggi sembra poco motivata.
I tifosi uniti
La questione unì anche le tifoserie avversarie, che a più riprese negli anni hanno espresso solidarietà nei confronti del popolo curdo. Ci si può fare un’idea leggendo qualche riga del comunicato che decine di gruppi ultras della Turchia, tra cui tifosi di Amedspor e Fenerbahce, diffusero a gennaio 2014 (traduzione di E. Karaman): «Il governo si riempie da sempre la bocca con lo slogan “non dividiamo il paese”, ma poi perseguita e uccide proprio chi vuole che il nostro paese viva in pace e in armonia tacciandoli come traditori. In questo paese c’è soltanto una distinzione: chi, guardando un bambino morto a terra colpito da una pallottola, si domanda se quel bambino fosse curdo o meno e chi invece piange tutti i bambini di tutte le etnie. […] La vergogna più grande dell’umanità è la colpa della guerra, una guerra di cui noi non faremo parte».
FOTO: www.kurdishquestion.com
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