In questi giorni di terrore e disperazione, con le immagini degli attentati di Parigi ancora negli occhi, bisogna ribadirlo ad alta voce: esiste anche un Islam fatto di integrazione, rispetto e legalità. Ciò vale anche e soprattutto nello sport, e tanti sono i mediorientali che si stanno facendo strada nelle loro discipline.
Per quanto riguarda il calcio alcuni esempi importanti si trovano in Inghilterra. Oltremanica gioca infatti l’iracheno Yaser Kasim, centrocampista dello Swindon Town. Hussain Fadhel e Khaled Al Rashidi hanno invece avuto brevi esperienze nel Nottingham Forest per poi tornare nel loro Kuwait. Anche il sogno di Omar Al Somah, calciatore siriano in forza all’Al Ahli, è quello di giocare nel Vecchio Continente, ma ancora non si è realizzato: per il momento il suo nome è noto alle cronache per la decisione di lasciare la Nazionale per paura della guerra e il suo essere oppositore del regime di Assad.
Ma l’esempio più importante ce l’abbiamo proprio a casa nostra: si chiama Ali Adnan, ventiduenne terzino iracheno che, prima di essere ingaggiato dall’Udinese, è diventato nel suo Paese uno dei simboli della lotta contro l’Isis. Anche in contesti difficilissimi, dunque, la passione per il pallone sa restare forte: in attesa dell’arrivo di nuovi talenti in fuga da guerre e terrorismo, ecco la storia della nuova stellina del campionato italiano.
“Ho sempre paura, prima e dopo ogni partita chiamo la mia famiglia. Ho sette fratelli e temo per loro, perché la situazione è pericolosissima. Prego tutti i giorni che la pace possa arrivare in Iraq, per tutte le persone di tutte le religioni. Nessuno escluso”: queste le parole di Adnan, nei suoi primi mesi della sua esperienza all’Udinese, club storicamente dal gran fiuto per i talenti di tutto il mondo. Quel sentimento che cristallizza pensieri e movimenti, però, il giovane terzino sa trasformarlo in agonismo, corsa e cross taglienti, come dimostra già nell’esordio (vittorioso, peraltro) sul campo della Juventus Campione d’Italia: Colantuono crede fortemente nel suo talento, e lo sta impiegando quasi sempre da titolare. Adnan ringrazia, e il suo sogno di diventare uno dei più importanti calciatori del mondo, lui che ha iniziato a inseguire il pallone in contesto non certo ideale, può continuare.
Nascere a Baghdad nel 1993 non è esattamente quanto di meglio possa capitare. Significa iniziare le propria vita in un Paese ancora in ginocchio dopo il conflitto con l’Iran e la Guerra del Golfo, vessato dalla dittatura di Saddam Hussein. E vedersi funestare l’adolescenza dall’invasione della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti di Bush, che considera l’ex alleato Saddam come pericolo principale dopo l’attacco alle Torri Gemelle e la guerra in Afghanistan. Ma, anche in quegli anni, c’è chi in Iraq continua a giocare a calcio: tra questi Ali Adnan, che ha ereditato la passione per il pallone e il talento dal padre ma soprattutto dallo zio Ali Kadhim, goleador della Nazionale irachena tra il 1970 e il 1980.
Se una volta il calcio era uno strumento di propaganda per Saddam, che raggiunse il suo punto massimo con la partecipazione ai Mondiali messicani del 1986, negli anni successivi alla cattura del dittatore (poi giustiziato) è diventato per forza di cose l’espressione della vitalità e della voglia di rinascita di un popolo che adesso deve vedersela con la piaga del terrorismo dell’Isis.
E quando lo possono fare gli iracheni sanno giocare a football anche bene: la testimonianza più lampante sta nella Coppa d’Asia vinta nel 2007, in finale con l’Arabia Saudita. Ma che il movimento calcistico sia in forte crescita lo dimostra anche il Mondiale under 20 del 2013, che vede Adnan grande protagonista. Nel torneo che laurea campione la Francia di Pogba l’Iraq sorprende tutti, vincendo il girone a scapito di Egitto, Cile e Inghilterra. La corsa continua fino alla semifinale, quando si arrende all’Uruguay solo ai rigori, dopo l’illusione del vantaggio firmato da Adnan con un gioiello su punizione vanificato a pochi minuti dal novantesimo da Bueno. Molti sono gli osservatori che si accorgono del talento del terzino iracheno: c’è chi inizia addirittura ad accostarlo a Roberto Carlos o (paragone molto più calzante per caratteristiche tecniche) al primo Bale.
Per Adnan arriva il momento di lasciare il Bagdad, club nel quale è cresciuto e si è imposto calcisticamente: l’offerta giusta è quella dei turchi del Rizespor, squadra in cui può completare il suo percorso di maturazione che lo porta a finire nel mirino di grandi club europei come Arsenal e Roma. A spuntarla è l’Udinese, dopo che alcune voci lo volevano prossimo a lasciare il calcio per arruolarsi nell’esercito del suo Paese per contrastare l’avanzata dell’Isis.
Nel giorno della presentazione come nuovo giocatore bianconero è lui stesso a spiegare le foto con addosso il giubbotto antiproiettile insieme ai soldati: “Non è vero che facevo parte dell’esercito iracheno, ho fatto solo pubblicità insegnando calcio. Tutto qui. Non ho combattuto. Il mio era solo un modo di sostenere il mio Paese contro l’Isis: sono orgoglioso di averlo fatto. Io sono uno sportivo, non c’entro con la politica. Qui rappresento anche la gioventù irachena”.
Arrivato con la prospettiva di poter essere girato in prestito al Granada (società sempre di proprietà della famiglia Pozzo), nel precampionato Adnan convince tutti, tanto da guadagnarsi subito un posto da quasi intoccabile nelle prime uscite ufficiali della stagione. E adesso la sua speranza è di poter presto far trasferire da lui almeno i suoi genitori: “Se facessi venire tutta la mia famiglia – ha scherzato -, Udine diventerebbe per metà irachena”.
Ali continua la sua corsa sulla fascia, che da Bagdad lo ha portato in Turchia e poi in Italia: la destinazione finale è l’elite del calcio. Nella consapevolezza che, per chi è riuscito a lasciarsi alle spalle guerre e terrorismo, poche cose sembrano impossibili.