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Alessia Orro e quei muri che servono

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Alessia Orro e quei muri che servono

Testo: Ettore Zanca 

Illustrazione Copertina: Enrico Natoli

I muri per il resto del mondo sono simbolo di chiusura, se usati male poi sono ancora peggio. Ma il mio muro è stato la salvezza. Quello che hanno costruito intorno a me. Mi chiamo Alessia Orro, faccio la pallavolista. Gioco a Busto Arsizio e in nazionale. Non ho mai indietreggiato davanti a nulla, non mi ferma nulla. Per me giocare è vita, è sentirmi me stessa e completa. Almeno fino a quel giorno.

Cominciò così, con un contatto sui social, mi scrisse prima pubblicamente e poi in privato, io risposi, educatamente e con molta cordialità. Mi fidavo del mondo e non avevo motivo di temere nulla. Solo che per l’uomo dall’altro lato della tastiera non era così. Mi aveva vista, mi aveva puntata. Per me è cominciato quell’incubo sottile, quello per cui si comincia a cingere d’assedio una donna come fosse una cosa, una fortezza da conquistare. Non conta il tuo no, non conta che tu non pensi nemmeno di accogliere quella persona nella tua vita, lui ha già pianificato tutto. Mi scriveva sempre, con frasi che erano un crescendo. E lì ho sentito crescere qualcosa che una ragazza di ventuno anni che ama giocare non dovrebbe mai provare. Quella sensazione di sentirsi quasi in difetto. Non contento di vedermi sui social, ha fatto un abbonamento per le partite in casa e in trasferta della mia squadra, perfino per le amichevoli. Io ho tenuto duro, il mio muro non è crollato. Ma provateci voi a giocare sapendo che sugli spalti c’è chi vi guarda con un occhio che vi angoscia. Camminavo su un doppio binario, la mia vita sportiva e una me che si sentiva svuotata. Ma non avevo ancora detto nulla a nessuno. Fino a quando durante una partita, mi bloccai. Un attacco di panico.

Le mie compagne chiesero cosa stesse succedendo, io non volevo nemmeno dire quella parola, ma l’ho detta tra le lacrime. Stalking. Quello era. Raccontai tutto, i complimenti scivolosi, le minacce. Chi non ha giocato in una squadra non saprà mai quanto bello è sentirsi arrivare i compagni in soccorso quando stai soccombendo. Tutta la squadra ha letteralmente fatto muro, come a pallavolo. Non mi hanno lasciata più sola e io ho denunciato. E lo hanno arrestato. Ora non mi sento sollevata, non so davvero se sia finita qui, ma di due cose ho certezza. Esistono muri che proteggono e aiutano e che dire sempre ciò che fa male, diluisce il dolore. Ah sì, ho imparato anche questo. Denunciate chi non vi rispetta, chi non pensa che un no, è un muro fatto di due parole, oltre il quale non deve passare. Torno a giocare, le mie compagne mi aspettano.

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