70 anni di Adriano Panatta: a tu per tu con la Leggenda del tennis italiano
In questa delicatissima fase storica rivedere la luce di una pseudo-normalità è un segnale di certo confortante che sta investendo, chi più o che meno, tutti i settori di un Paese ferito, ma pronto a rialzarsi per riprendere il cammino. Il mondo dello sport non fa eccezione e ogni disciplina si è dovuta adattare alle nuove esigenze imposte dal Covid19 reinventandosi pur di poter sopravvivere. Il tennis è di sicuro tra gli sport meno affollati è più sicuri, ma il recente e non indispensabile svolgimento dell’Adria Cup ha suscitato diverse polemiche a seguito di numerosi atleti contagiati tra cui Nole Djokovic, promotore dell’evento e numero uno del mondo. Il numero uno del tennis nostrano è storicamente e indiscutibilmente Adriano Panatta, perché il tennis è approdato in Italia, sdoganandosi dalla cerchia elitaria nel quale era relegato, grazie alle sue gesta e alle sue imprese, divenendo di fatto uno sport popolare e seguitissimo negli anni nonostante i risultati avari che ahinoi ci ha donato.
Questa è la storia di un ragazzino nato nel 1950, figlio di un custode, Ascenzio, di un circolo tennistico, cresciuto giocoforza sui campi da tennis e trovatosi per inerzia e forza di volontà a scrivere la storia della nostra racchetta, rigorosamente di legno nei favolosi anni settanta. Ascenzietto, questo il suo genealogico soprannome, ci mette ben poco a far capire a chi di dovere le sue potenzialità e a soli quattordici anni si trasferisce al centro federale di Formia dove viene preso in custodia dal suo mentore Mario Belardinelli. Cresce e impara in fretta, nel frattempo il tennis diventa Open, e già dalle juniores arrivano i primi risultati con la semifinale a Wimbledon nel 1968, a cui faranno seguito l’esordio a Barcellona e una lunga trasferta erbivora in Australia coronata da ottimi risultati. La sua maturazione, scandita impeccabilmente da un’ eccellente programmazione, e il suo talento smisurato faranno il resto proiettandolo di fatto nel gotha del tennis italiano, in cui raccoglie il testimone da sua maestà Nicola Pietrangeli, e pronto a dire la sua nel circuito mondiale che attraverserà da protagonista in tutti gli anni settanta. Il resto è storia, e che storia!, che raggiunge il suo culmine nel 1976, anno magico e indimenticabile, e purtroppo ineguagliato, in cui nel giro di pochi mesi Adriano alzerò le mani al cielo a Roma, Parigi e a Santiago del Cile, prima ed unica Coppa Davis della storia azzurra. Nasce il mito, l’ottavo Re di Roma entra nella leggenda, il personaggio e l’atleta si fondono e il tutto viene suggellato dal quarto posto, anche questo ineguagliato, nella classifica mondiale. Stupisce e diverte fuori e dentro dal campo e prosegue la sua straordinaria carriera suggellata da altre tre finali in Davis, una a Roma, e uno storico quarto di finale a Wimbledon, forse il suo rimpianto più grande, perso dopo essere stato in vantaggio due set ad uno contro Pat Du Prè. Si ritira nel 1983 con dieci titoli ATP all’attivo, di sicuro meno di quello che avrebbe meritato, prende per mano la nazionale azzurra capitanandola dal 1984 al 1997 e intraprendendo contemporaneamente la carriera agonistica in motonautica divenendo primatista mondiale di velocità sull’acqua e campione del mondo di Off-Shore nella categoria Evolution.
Un romanzo di vita, coronato anche da un’esperienza politica come consigliere comunale e assessore allo sport del comune di Roma, che Adriano ha racchiuso in una puntuale autobiografia dal titolo Più dritti che rovesci, in cui racconta la sua lunga parabola sportiva, una cavalcata trionfale durata oltre quarant’anni nei quali il piccolo Ascenzietto è asceso nell’Olimpo delle più grandi divinità sportive di tutti i tempi. Trasferitosi a Treviso nel 2019 rileva all’asta lo storico circolo Bepi Zambon, lo sta rimettendo a nuovo per poter insegnare a che ne avrà la fortuna, soprattutto ai bambini, il suo concetto di tennis basato sulla semplicità e l’eleganza del gesto. Lo abbiamo incontrato per ringraziarlo per tutte le emozioni regalateci e per fare tanti auguri a questo giovane settantenne che non ha mai neanche lontanamente smesso di stupirci.
Tanti auguri Adriano, buon compleanno a te. Come stai e come arrivi a questo traguardo importante?
Grazie, ci arrivo bene tutto sommato. Qualche acciacchetto, ma posso dirti che nella mia vita ho sempre cercato di essere in linea e in sintonia con la mia età, diffido di chi dice di sentirsi addosso venti anni di meno perché a mio avviso non funziona così. Sono sereno e vivo bene con me stesso, con lo spirito di sempre che mi ha accompagnato in tutte le varie fasi del mio percorso.
L’attuale momento dello sport in generale, e del tennis in particolare. Come vedi in prospettiva la ripresa nel breve medio-termine? Le polemiche recenti sull’Adria Cup di sicuro non hanno giovato.
Si discute e si sta decidendo in questi giorni, si parla di Roma e Parigi a settembre e si sta tentando ovviamente di dare un senso ad una stagione che di fatto non c’è stata. E’ chiaro che le esigenze di mercato televisivo e degli sponsor abbiano la loro rilevanza, ma vedere lo sport senza pubblico credo non abbia molto senso e nessun fascino, la serie A è ripartita ma da quello che sto vedendo più che gare di campionato sembrano amichevoli. Nel tennis poi, se levi gli spalti, il folklore e i colori che solo il pubblico può darti direi proprio che manca un po’ tutto.
L’attuale situazione del tennis italiano, le donne hanno fatto la storia in questi ultimi anni, oggi sembra che gli uomini abbiano delle chances in più. Come sta in generale il paziente tennis in Italia?
Beh direi che negli ultimi quindici anni è cambiato il vento, le donne hanno vinto quattro Fed Cup in pochi anni e due slam con Schiavone e Pennetta, la Vinci e la Errani hanno strabiliato in doppio, mentre ora sono i maschi a far ben sperare. Dopo me, Corrado, Paolo e Antonio abbiamo sempre avuto dei buoni giocatori, penso a Canè a Camporese e Nargiso per esempio, poi in questi ultimi anni sono arrivati gli exploit di Fognini ormai stabile nei dieci, poi c’è stato Matteo (Berrettini, ndr) che in pochissimo tempo è arrivato al numero otto, e ora guardo con ammirazione Jannik Sinner che sembra molto forte già in età così giovane. Direi che il paziente gode ottima salute e in prospettiva abbiamo margini di crescita e di risultati.
I tuoi inizi, il piccolo Ascenzietto che diventa in breve tempo uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Ricordi di quel periodo? Quando è scattata la molla che ti ha fatto capire chi saresti potuto diventare? A chi devi dire grazie in particolare?
Sui campi ci sono cresciuto e sin da piccolo ho masticato il tennis quotidianamente, ma il momento in cui ho capito che potevo andare avanti è legato alla trasferta australiana del 1968. Eravamo in cinque sei ragazzi e siamo rimasti lì per circa quattro mesi, all’epoca quel continente era un vero e proprio tempio del tennis, con atleti come Lever e Rosewall che erano al top delle classifiche, è stata un’esperienza formativa molto forte in cui ho capito meglio quale fosse il mio modo di giocare e di come utilizzare e valorizzare certi colpi anziché altri. La figura assoluta di riferimento è senz’altro Mario Belardinelli senza il quale tutto quello che ho fatto non sarebbe mai successo, è stato un padre dedicando tutta la sua vita a noi e all’amore per questo sport.
Se il 19 dicembre del 1976 ti avessi detto che dopo quarantaquattro anni nessun tennista italiano sarebbe più riuscito a vincere Roma, uno Slam e la Davis tu mi avresti creduto?
Son passati troppi anni ormai, chissà cosa ti avrei detto all’epoca ma di sicuro ero concentrato a godermi questi momenti senza pensare ad altro. E’ mancata di sicuro una punta di diamante in questi anni, ma ripeto che il livello complessivo del nostro tennis è stato sempre mediamente alto e mai come in questo momento mi sento di poter sperare nei due nostri giovani che rappresentano una garanzia per il futuro. Non credo affatto che non abbia funzionato qualcosa a livello federale, il tennis è uno sport difficile e per essere vincenti ci vuole un mix di fattori niente affatto facili da incasellare.
Avete rilevato il circolo Zambon di Treviso, a che punto sono i lavori e che tipo di tennis vi proponete di insegnare?
Sì i lavori inizieranno dopo l’estate e speriamo di partire quanto prima, siamo pronti tenendo conto che sarà un’impresa impegnativa da curare sotto molti aspetti, da parte mia ribadisco quanto già detto e punterò molto sulla parte ludica soprattutto coi più piccoli, dobbiamo farli entrare ed uscire dal campo col sorriso. So benissimo che ne arriva uno su centomila per cui è nostro dovere non illuderli insegnandogli a giocare a tennis in maniera semplice e non esasperata facendo in modo che si divertano e non percepiscano solo la fatica di questa disciplina.
Questa tua risposta mi ricollega a quel Poff Poff della Profezia dell’Armadillo. Un trattato di sociologia in novanta secondi, ma è davvero così? I giovani pensano solo al risultato?
Sì credo che uno dei mali di queste nuove generazioni sia proprio questo, se pensi solo al risultato ti disamori del gesto e non ti godi il viaggio e poi giocoforza le delusioni fanno sì che il tennis lo abbandoni. Il nostro messaggio deve essere esattamente l’opposto e quando sarò in campo ad insegnare cercherò di puntare molto su questo aspetto che i ragazzi di oggi devono recuperare, la gioia di entrare in campo e la cultura dell’accettazione della sconfitta stringendo la mano all’avversario.
La passione per la motonautica. Appena hai appeso la racchetta al chiodo avevi già pianificato tutto quello che sarebbe venuto dopo?
Assolutamente sì, ho sempre avuto il pallino per il mare e i motori e la velocità, ho dedicato venticinque anni a questa mia seconda passione prendendomi anche delle soddisfazioni e delle gioie altrettanto importanti delle quali vado fiero, e anche li ho seguito la passione e la voglia di divertirmi.
Per chiudere. Ti piace il tennis di oggi? Con quali spirito lo guardi?
E’ un tennis molto fisico, molto veloce ed atletico con poco ragionamento. Non ho né nostalgia per il tennis di una volta né entusiasmo per quello di oggi, ma quando vedo giocare Federer è ovvio che mi riconcilio con questo sport perché è l’unico che ancora mi stupisce e certe soluzioni o intenzioni riesce a trovarle solo lui. Rispetto tutti per carità, ma do tutto un po’ per scontato e quando vedo oggi una partita di tennis so già più o meno come va a finire, come se andassi al cinema a vedere un film per la seconda volta.
Geniale, schietto,un po’ burbero, ma estremamente sincero. Gentile, appassionato, innamorato del tennis e della vita. Romano, totalmente romano. Auguri Adriano e settanta volte grazie di tutto!