4 giugno 1944, Roma Liberata: i destini incrociati di Attilio Ferraris IV e Bruno Buozzi
Il 4 giugno 1944 terminava, dopo quasi nove mesi, l’occupazione nazi-fascista della città di Roma. Cominciato il 10 settembre 1943, dopo quella che viene ricordata come la Battaglia di Porta San Paolo, questo evento rappresentò uno dei periodi più bui della Capitale.
Le truppe di occupazione tedesche infatti, con l’aiuto di centinaia di collaborazionisti fascisti, si resero protagoniste di alcuni dei più efferati eventi che la città ricordi. Alcuni esempi che possono essere fatti in questo senso sono il rastrellamento del Ghetto capitolino datato 16 ottobre 1943, in cui vennero arrestate 1259 persone e solo 16 riuscirono a tornare alla fine del conflitto, o il cosiddetto Eccidio delle Fosse Ardeatine avvenuto il 24 marzo 1944, che costò la vita a ben 335 tra civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei e detenuti comuni.
Durante l’occupazione furono moltissime le figure che lottarono e si opposero agli occupanti in vario modo. Questa presa di posizione del popolo romano è ben espressa da una frase che venne detta, secondo la leggenda, dal generale Reiner Stahel, governatore di Roma durante l’occupazione tedesca. Egli, per la precisione, dichiarò una volta ”Metà dei romani sono nascosti nelle case dell’altra metà”. L’affermazione è chiaramente un’iperbole ma riesce a dare bene l’idea di quale solidarietà unì il popolo capitolino nella resistenza all’occupante
Questi personaggi facevano parte degli ambiti più diversi tra loro: dall’insegnante Raffaele Persichetti fino al giovane studente Ugo Forno passando per il presibitero Don Pietro Pappagallo. Tra tali personalità non poteva di certo mancare qualcuno che avesse un qualche collegamento con l’ambito sportivo. E questo qualcuno non era certo una personaggio con un nome qualsiasi: Attilio Ferraris, da tutti conosciuto come Ferraris IV.
Nato a Roma, il 26 marzo 1904 nel Rione di Borgo, egli fu un calciatore di ruolo mediano che divenne uno dei più importanti giocatori della AS Roma dell’epoca. Indossò infatti la casacca giallorossa dal 1927 al 1934 scendendo in campo ben 198 volte e mettendo a segno 3 gol.
Fu, inoltre, il primo capitano della neo-squadra capitolina che nacque proprio nel 1927, in data 22 luglio. La fascia da capitano poco tempo dopo, pare su specifica richiesta dello stesso Ferraris, passò al braccio di Fulvio “Fuffo” Bernardini.
Per questo motivo Attilio diventò una figura indelebile nella memoria del tifo giallorosso.
D’altronde nel primo inno della squadra capitolina, la mitica “Campo Testaccio”, ci sta un verso che dice “Poi ce sta Ferraris a mediano, bravo nazionale e capitano”.
Nonostante tutto, il comportamento di Attilio Ferraris non rientrava proprio in quello che si può definire del giocatore standard. Egli difatti era un fumatore, amante della bella vita e delle donne, che saltava spesso o arrivava in ritardo agli allentamenti senza una giustificazione reale.
Questo suo spirito ribelle sul campo non lo portò certo a collaborare con i nazi-fascisti durante il periodo di occupazione di Roma. Il calciatore, nello specifico, non scese a combattere sul campo ma diede rifugio, presso il suo appartamento a Parioli, ad un’altra importante figura che si opponeva alle truppe tedesche: il sindacalista Bruno Buozzi.
Buozzi, nato in un piccolo comune nella provincia di Ferrara dal nome di Pontelagoscuro il 31 gennaio 1881, era una delle figure di spicco dell’Italia di quel tempo e tentò di combattere in vari modi il regime totalitario di Benito Mussolini. Nel 1905, ad esempio, aderì al Partito Socialista Italiano (PSI).
Cercò inoltre di far luce sull’omicidio di Giacomo Matteotti, storica figura dello stesso PSI, ucciso dai sicari del Duce il 10 giugno 1924. Anche durante l’occupazione di Roma, periodo in cui assunse il falso nome di Mario Aliberti, contrastò il lavoro quotidiano delle truppe nazi-fasciste.
Purtroppo l’aiuto che Ferraris diede a Bruno Buozzi si concluse con un tragico epilogo. Il 13 aprile 1944 il sindacalista venne arrestato durante un controllo in strada e tradotto nelle tristemente famose carceri di via Tasso dove non riuscì mai ad evadere nonostante i vari tentativi dello stesso CLN (Comitato di Liberazione Nazionale).
La mattina del 4 giugno 1944 i tedeschi in fuga decisero di portarsi dietro 13 prigionieri di via Tasso e tra questi vi era anche Bruno Buozzi. Una volta giunti all’altezza de La Storta, piccola località lungo la via Cassia, i detenuti vennero fatti scendere dal camion che li trasportava non si sa bene per quale motivo.
Poche ore dopo gli stessi reclusi furono uccisi con un colpo di pistola alla testa. Terminava così, nelle stesse ore in cui la città di Roma veniva liberata, la triste vicenda del sindacalista Buozzi. A tale figura, oggigiorno, è stato dedicata una lunga via che attraversa il sovra-citato quartiere Parioli. Attilio Ferraris IV, invece, riuscì a sopravvivere. Alla fine del conflitto, appesi gli scarpini al chiodo, intraprese una nuova redditizia attività lavorativa gestendo alcune sale da gioco sparse per la città. Pochi mesi dopo si trasferì a Montecatini Terme, nella provincia di Pistoia, dove portò avanti la sua passione per il calcio anche se in maniera non professionale. Attilio Ferraris morì improvvisamente durante una partita di pallone nel piccolo comune toscano l’8 maggio 1947.
Aveva compiuto 43 anni da qualche mese e la causa della morte fu un infarto. In chiusura del pezzo ci piace ricordare questa storica figura con un motto, secondo alcuni un vero e proprio giuramento, che lo stesso Ferraris pretendeva che tutti i compagni di squadra ripetessero prima di ogni partita. Tale motto, che a parere di chi scrive ricalca in maniera abbastanza evidente il carattere ribelle del mediano, diceva così: “Chi da’ ‘a lotta desiste fa ‘na fine mooorto triste, chi desiste da’ ‘a lotta è ‘n gran fijo de ‘na mignotta!”.