Tutti i cambi di stemma provocano qualche malcontento. Quelli più radicali, peraltro inaspettati, ancora di più. Il dibattito che ha seguito la presentazione del nuovo logo della Juventus, principalmente su social e giornali, ha dato spazio soprattutto a critiche banali e semplicistiche contro il rebranding bianconero.
«È palesemente brutto», «è copiato da quell’altro logo», «non rispetta la tradizione» sono osservazioni superficiali che evitano di andare a fondo nella questione. Anzi, se devo dire la mia, il nuovo logo rimane nella memoria ed è piacevole alla vista. Ma stiamo parlando di un club di calcio e non di una ditta che produce bevande in lattina, ed è proprio su questa sostanziale differenza che si basano questi 10 motivi per non apprezzare il nuovo logo juventino.
- INDAGINE DI MERCATO ≠ COLLABORARE CON I TIFOSI
Alcune persone confondono un’indagine di mercato con un progetto di collaborazione pianificato con tifosi per ideare assieme a loro il restyling – spesso necessario – del logo. Un club che modifica radicalmente il proprio stemma senza un progetto partecipato, che coinvolga cioè i tifosi interessati e gli organismi che li rappresentano, non può dirsi davvero rispettoso della propria comunità. E no, il sondaggio web con la “pappa pronta” da scegliere in due-tre varianti non vale: lo stemma rappresenta l’identità di una squadra e se si vuole davvero essere all’avanguardia va pensato, costruito e disegnato in maniera partecipata e trasparente.
- ADDIO TORINO
Tutto, ma proprio tutto, del nuovo logo della Juventus è mosso da una forza centrifuga rispetto alla città sede del club. Il simbolo di Torino sparisce infatti dallo stemma e come se non bastasse la sua presentazione avviene a Milano. Certo, si dice che Torino sia a maggioranza granata e che la Juventus sia la squadra più tifata nel resto d’Italia, ma cosa ne penseranno i tifosi residenti a Torino? Un club di calcio deve guardare in primis alla comunità locale dei propri tifosi e, con questo gesto, la Juventus sembrerebbe aver voltato le spalle alla Torino bianconera.
- DELOCALIZZIAMO!
Con questa operazione la Vecchia Signora non si allontana solo da Torino, ma da tutta l’Italia. E non ne fa un segreto: lo stesso Andrea Agnelli durante la presentazione ha sottolineato che il rinnovo dell’immagine ha tra gli scopi quello di conquistare mercati stranieri.
Cito testualmente le sue parole: «Che cosa pensa la bambina a Shangai? Che cosa sogna il millennial a Mexico City? Come si comporta la ragazza di New York?». Posto che “il millenial di Mexico City” non ha alcun bisogno che Andrea Agnelli pensi ai suoi sogni, direi che la strada sembrerebbe segnata: che la Juventus raggiunga presto la FIAT all’estero?
- COLONIALISMO CALCISTICO
Il precedente punto, in parte provocatorio, vuole in realtà essere una critica molto costruttiva. Non mi piace l’aggressività con cui i top-club europei considerano i mercati dei paesi in via di sviluppo. Non ho problemi a definirlo un approccio colonialista: proprio come in passato gli stati europei con America, Africa, Asia e Oceania, è partita la corsa a chi arriva prima per prendersi la fetta più grande della torta.
Un tempo si conquistavano enormi territori ricchi di materie prime, prodotti della terra, spezie, minerali, donne, schiavi e quant’altro. Nel calcio di oggi l’oggetto del contendere sono i nuovi mercati stranieri, popolati da tifosi-clienti fidelizzati e sempre connessi a distanza con il club di riferimento. E il bello è che gli stessi tifosi italiani sono portati a considerare quelli stranieri con un senso di superiorità: “il cinese” è bravo perché ci dà i soldi, ma guai se pensa di contare quanto me.
- QUANTI POSTI CI SONO A TAVOLA?
Poniamo pure che io condivida il quadro appena descritto: quanti posti ci sono alla tavola imbandita dei nuovi mercati globali? Pochi, sicuramente pochi. Il sistema-calcio europeo sta già viaggiando a vele spiegate verso la cosiddetta SuperLega: pochi club (Spagna) se non addirittura uno solo (Italia, Francia, Germania) hanno ormai distanziato enormemente tutti gli altri dal punto di vista sportivo e societario. La conquista dei nuovi tifosi in Asia e altrove non fa che aumentare il gap: chi ha la potenza per crescere a livello globale lo fa, i club di media e piccola fascia restano a bocca asciutta.
- SEDURRE I NUOVI TARGET
Oltre ai mercati stranieri, Agnelli ha parlato di nuovi target da raggiungere, citandone tre: bambini, millennials e donne. Secondo la dirigenza juventina, il nuovo logo dovrebbe attrarre di più queste tre categorie. Provo a interpretare: attrarre i bambini perché molto semplice, attrarre i millennials perché smart (l’abbondanza di anglicismi è voluta), attrarre le donne perché sembra un marchio di moda più che di calcio. Insomma, non si è parlato mica di progetti per finanziare scuole marchiate Juventus nei paesi del terzo mondo, di giornate per coinvolgere i giovani studenti a Vinovo, di programmi per aiutare il calcio femminile in Piemonte. No: ci penserà il nuovo logo e ciò che gli ruota attorno a sedurre queste tre categorie. Da questo punto di vista, anche loro sono un po’ cinesi.
- MENO IDENTITÀ, PIÙ FATTURATO?
Quando vediamo uno stemma di una squadra di cui non sappiamo nulla, riconosciamo subito che è il simbolo di una squadra di calcio. Questo perché gli stemmi di solito rispettano alcune convenzioni, che si rifanno all’araldica medievale. Il nuovo logo della Juve è rivoluzionario perché rompe proprio queste regole. Non è uno stemma di calcio, appunto, ma il logo di una multinazionale.
Questa peculiarità dovrebbe comportare la sua enorme diffusione: proprio perché non rimanda direttamente al calcio sarà più indossabile in tutte le occasioni e soprattutto sarà utilizzato anche dai non-tifosi. Un po’ come succede con quello dei New York Yankees, è stato detto. Sinceramente, vedere lo stemma della mia squadra indossato da chi nemmeno sa cos’è mi darebbe fastidio: vorrebbe dire che si sta sacrificando parte dell’identità del club in cambio dell’aumento della voce “commercial” sul bilancio.
- PATERNALISMO
Tutta l’operazione di rebranding della Juve è stata accompagnata dall’insopportabile voce narrante di casa Agnelli. Insopportabile perché ha tentato di far passare un cambio di look per una rivoluzione culturale di cui la Juventus si sarebbe fatta portatrice. E se «quel che è bene per la Fiat è bene per l’Italia», lo stesso sembrerebbe valere per la Juventus, che d’altronde è spesso definita «la squadra d’Italia».
Qualche esempio sparso, tratto da comunicati ufficiali e dichiarazioni di dirigenti juventini e di Interbrand, la società pagata dalla Juventus per ideare il restyling: «The future, now!», «Molte squadre vivono nel passato», «È il coraggio di essere i primi a infrangere le convenzioni», «Un logo che si lascia con coraggio alle spalle i conformismi degli stemmi calcistici», «I tifosi nel lungo periodo cambieranno idea», «È stato come muovere un passo in una nuova era». L’augurio è che in futuro le rivoluzioni culturali nel calcio siano ben altre, e che soprattutto non siano mosse da fini riconducibili all’aumento del fatturato.
- LA KERMESSE
Anche la scelta di come presentare una tale novità comunica molte cose. Connessi in streaming o sul canale tv, i tifosi hanno potuto apprezzare – in maniera quasi voyeuristica – l’esclusivo evento al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano: la celebre tifosa juventina Emily Ratajkowski che posa davanti al nuovo logo; il dj set Giorgio Moroder; il cocktail “1897” creato per l’occasione dal mixologist del Cafè Trussardi alla Scala; l’edizione limitata della Jeep Renegade; oltre alla partecipazione di altri personaggi del calibro di Carlo Cracco. La dirigenza juventina non solo ha scelto di cambiare così radicalmente l’immagine del club senza consultare i tifosi né avvisarli, ma lo ha annunciato pure con un “gran galà” a porte chiuse che rappresenta tutta la distanza tra la dirigenza del club e il suo tifoso medio.
- VINCERE A TUTTI I COSTI
Un aspetto che trovo arrogante del nuovo logo juventino è la presenza dell’elemento grafico dello scudetto. Durante la presentazione è stato comunicato in ogni modo che il logo rappresenta lo stile Juve, i suoi valori, il suo modo di essere. Che è poi stato riassunto in una citazione di Boniperti pronunciata da Andrea Agnelli: «Per la Juventus vincere non è importante, è l’unica cosa che conta». Per concludere, ritengo che quello del “conta solo la vittoria” è l’insegnamento più orrendo che si possa dare attraverso il pallone. Dalle scuole calcio fino ai tifosi allo stadio.
Articolo perfetto. Se non esistesse la jUVENTUS e il suo “stile” l’Italia sarebbe un paese migliore.
Edoardo, forse l’Italia sarebbe migliore senza la tua invidia e il tuo odio!